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Venezia 71 – Cambia Canali: le associazioni dell’audiovisivo unite per la riforma della Rai

L’industria audiovisiva italiana si unisce per chiedere un ripensamento della Rai e del concetto di Servizio Pubblico nell’era 2.0. Con meno canali ma più diversità e più chiarezza sui diritti: le proposte alla 71. Mostra del Cinema di Venezia.

Si autodefinisce “il fronte unito delle associazioni degli autori e dei produttori dell’industria creativa”, quella che abbraccia la tutti i mezzi in cui è possibile vedere film, serial, video, immagini e musica in movimento, e come fronte è pronto a “combattere” per un radicale cambiamento della tv statale. Uno che investa non solo le strutture ma il concetto stesso di “servizio pubblico”, nato in un contesto sociale, economico e soprattutto tecnologico molto diverso, in cui non c’erano la Rete, il digitale e tutti i nuovi dispositivi di cui ora è affollata la vita quotidiana degli italiani. I promotori della riforma sono 100Autori, Agpci, Anac, Anica, Apt, Art, DOC/IT, PMI Cinema e Audiovisivo e l’occasione per discutere della loro proposta è stata un incontro tenutosi ieri, a Venezia, nell’abito della 71. Mostra del Cinema, intitolato significativamente “Cambia Canali.

cambia canali

L’obiettivo di queste associazioni è sfruttare la Consultazione annunciata dal Governo per il rinnovo della concessione del Servizio Pubblico radio-tv per rompere un modello nato dalla spartizione partitica e appiattito su un’offerta generalista “spalmata” anche sui nuovi canali digitali, che non garantirebbe diversificazione e soprattutto non aiuterebbe lo sviluppo del comparto produttivo dei contenuti.

A esporre il problema Piero De Chiara, voce del “fronte” all’incontro lidense:

“C’è in gioco il modo in cui verranno spesi 20 miliardi di denaro pubblico nei prossimi 10 anni. È la più grande decisione che un Paese può prendere su questo settore. Un settore che va ripensato perché la scorsa concessione faceva riferimento a un’era analogica, con tecnologie ormai superate da Internet e barriere razionali non più esistenti. Il problema però è di organizzazione, occorre spezzare l’intricato meccanismo costruito intorno alla Rai, la confusione tra risorse da canone e quelle provenienti dalle inserzioni, gli affollamenti pubblicitari cervellotici che inevitabilmente fanno sì che tutto sia  prodotto per la prima serata di Rai 1. Così il cinema si fa solo riempitivo di buchi di palinsesto e canalini digitali: o si spezza questo meccanismo o non serve un dialogo permanente né sperare che cambino i dirigenti”.

A essere in discussione è perciò il numero e l’impostazione dei canali gestiti dal servizio pubblico, nonché il modo in cui vengono gestiti i diritti dei contenuti acquistati per la messa in onda, di cui autori e produttori chiedono di poter riacquisire dopo un tot di tempo la titolarità. Sempre più rilevante diventerà infine la questione dei diritti per l’online, canale di distribuzione destinato ad assumere un ruolo centrale per film e serie tv e le cui regole rischiano di essere dettate solo dai colossi, magari stranieri, già presenti o in arrivo nel mercato.

Le proposte delle associazioni, si riassumono in sintesi in questi punti:

  • Un numero di «canali», anche generalisti, più ristretto.
  • La separazione societaria delle attività sovvenzionate con risorse fiscali da quelle sovvenzionate con pubblicità. La best practice perseguita è dichiaratamente quella inglese, dove oltre la BBC esiste un canale pubblico finanziato solo con la pubblicità e che ha tra gli obblighi di concessione quello di lavorare solo con produttori indipendenti. Un vincolo su cui la rete britannica ha saputo creare un nuovo  mercato
  • Una diversa gestione dei diritti, che liberi la creatività degli autori e favorisca la crescita dei produttori indipendenti.
  • La durata decennale della Concessione.
  • La governance duale, con un consiglio di indirizzo e sorveglianza che rappresenti gli obiettivi definiti in Convenzione e che nomini il vertice della azienda.

A sostenere le proposte anche Riccardo Tozzi, presidente Anica:

“ L’idea non è depotenziare e ridurre l’offerta Rai, ma di ottenere più diversità. 16 canali che trasmettono tutti le stesse cose portano solo appiattimento, manca la varietà che è l’unica misura oggettiva della qualità. Dove si produce una cosa sola, anche buona, prima o poi il buono è destinato a esaurirsi per mancanza di innovazione. La pluralità ormai è garantita dal numero di canali a disposizione degli utenti: il vero servizio pubblico è quello che mette in moto i meccanismi della produzione culturale per portarla su un terreno più ricco e più avanzato”.

In arrivo nei prossimi mesi una serie di seminari rivolti agli operatori per approfondire i temi oggetto della proposta delle associazioni riunite dell’audiovisivo, in particolare quelli dei diritti d’antenna e on demand.

 

 

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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