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Siae contro tutti: le domande a cui non ha ancora risposto la Società Italiana degli Autori ed Editori.

Stefania Ercolani, direttore dell’Ufficio Multimedialità della Siae replica ancora a chi contesta la pretesa della Siae di far pagare ai siti internet i diritti sulle musiche dei trailer che trasmettono. Perché, dice, è come mettere un CD in discoteca.

Il rapporto tra la rete e il diritto d’autore è sempre stato un tema caldissimo. Ma stavolta (come abbiamo già scritto su queste pagine) non si parla di download illegale o di interi film divulgati in streaming, magari in contemporanea all’uscita nelle sale. Si parla di trailer, che promuovono film e che quindi tutti avevamo identificato come pubblicità. Magari più interessante di quella di un detersivo, ma pur sempre pubblicità. E invece no, per la Siae i trailer sono un mezzo di trasmissione per la musica (a volte quella delle colonne sonore, altre volte hit scelte appositamente dai produttori per spingere il film), e in quanto tale per essere diffuso via internet ha bisogno di un’apposita licenza, come se ci si mettesse a proiettare un DVD in una pubblica piazza…

 

Il paragone, senza dubbio “interessante”, è rilanciato da Stefania Ercolani, direttore dell’Ufficio Multimedialità della Siae, in un’altra intervista al magazine Punto Informatico, in cui si ribadisce il concetto per cui non ha importanza se i diritti per l’inserimento di quella musica in quel trailer sono stati già pagati dal produttore o dal distributore:

“La musica inserita nel video, sia esso promozionale o di altra natura, è utilizzata da un sito web, e sono quindi gli utilizzatori, cioè i titolari del sito, a dover corrispondere i diritti così come – vedi gli esempi precedenti – sono le emittenti o i proprietari di discoteche a pagare per le musiche che trasmettono o diffondono”.

I siti internet insomma sono come le discoteche. Peccato che le discoteche offrano musica, i siti incriminati, invece, informazione, e che i trailer vengano diffusi dalle case di produzione e distribuzione insieme al resto del materiale stampa, come interviste, foto, clip del film e tanto altro.  Meno male che almeno le locandine dei film non suonano… Ad ogni modo, un altro punto controverso, è proprio la tipologia di musica che avrebbe bisogno di autorizzazione: secondo Ercolani infatti, la licenza “riguarda siti che hanno trailer, spezzoni ed altri contenuti video con colonne musicali fino a 10 ore di durata, non un estratto inferiore a 40 secondi”. Ma il monte ore si riferisce ai trailer eventualmenti coperti dalla licenza (che lo ricordiamo ha il costo minimo di 1800 euro l’anno). Non si capisce perciò se questi fatidici 40 secondi (e nei teaser trailer non è che ne entrino molti di più) costiuiscano  comunque trasmissione di musica, e ancora meno come ci i debba comportare con i video stranieri.

Interrogata sul tema, la responsabile della Siae sottolinea semplicemente come a venire in rilievo siano solo isiti che ricadono sotto la legge italiana e che usano musiche amministrate dalla Siae. Invitiamo perciò i siti ad aggiornarsi costantemente su tutti i brani tutelati dalla Società Italiana degli Autori ed Editori, in modo da capire quando preoccuparsi e quando no. E pensare che negli USA, YouTube ha vinto il primo grado di giudizio contro il colosso mediatico Viacom (leggi il nostro resoconto) proprio grazie al Digital Millennium Copyright Act, in cui viene stabilito che sono i detentori dei diritti a dover monitorare il corretto utilizzo dei propri contenuti, in quanto sono gli unici a sapere con esattezza quali hanno diffuso, quali appartengono a loro e che uso desiderano che ne venga fatto sul web. Al video provider spetta solo l’obbligo di rimuovere prontamente i materiali una volta ricevuta la segnalazione che violano il copyright. Un impianto normativo che tra l’altro dovrebbe corrispondere a quello recentemente studiato dall’Agcom. A proposito di YouTube, ovviamente anche il portale di Google paga pegno alla iae, ma questo non basta per poter usare i suoi trailer, poiché quella licenza “copre l’embedding di video in siti non commerciali a condizione che i materiali siano stati correttamente licenziati all’origine. Non possiamo quindi rispondere per Google, che detiene le informazioni sui contenuti grazie al sistema Content ID”.

E se finora sembrava che non ci fosse dubbio sul fatto che gli unici siti a rischio fossero quelli rientranti nella generica definizione di “commerciali” (e un blog corredato di GoogleAds, come lo categorizziamo?), ora vacilla anche questa certezza. Stefania Ercolani sottolinea infatti come la politica di Siae preveda di invitare alla “regolarizzazione” in via prioritaria i siti che fanno capo ad aziende con un loro fatturato. Ma “la legge sul diritto d’autore (quella italiana come quella degli altri paesi  occidentali) prevede che qualsiasi uso debba essere autorizzato. Quindi indipendentemente dalle scelte aziendali della SIAE, gli autori possono ritenere che la presenza in certi siti o in certi social network non siano compatibili con la presenza delle loro opere e agiscano di conseguenza”. L’intervistata si affretta però a specificare che un conto è la pagina Facebook del “ragazzino che dialoga con i suoi amici”, un altro quello della casa discografica o del negozio di musica (e immaginiamo, della testata web). Perciò il ragazzino è libero di violare il copyright perché è tra amici mentre la testata ci guadagna e quindi deve pagare? Eppure non sembra questa la ratio con cui la stessa Società di solito si batte contro la fruizione di contenuti illegali online.

Più la Siae risponde, insomma, più si sollevano domande. E anche decise reazioni da parte delle categorie del settore, per cui vi rimandiamo al nostro riassunto.

 

Fonte: Punto Informatico

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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