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I teenager e il consumo dei media secondo (lo stagista di) Morgan Stanley

E’ proprio vero che basta un nome altisonante per dare a delle informazioni che sono alla portata di tutti una rilevanza e un’evidenza che dovrebbe essere scontata, perché basta guardarli per capire che è così, ma a quanto pare non lo è mai abbastanza. Capita così che un quindicenne inglese, durante il suo stage estivo…

E’ proprio vero che basta un nome altisonante per dare a delle informazioni che sono alla portata di tutti una rilevanza e un’evidenza che dovrebbe essere scontata, perché basta guardarli per capire che è così, ma a quanto pare non lo è mai abbastanza.

Capita così che un quindicenne inglese, durante il suo stage estivo alla Morgan Stanley, riceva l’incarico di scrivere un dossier sul rapporto tra lui (e la sua generazione) e i media.

Orde di dirigenti ed analisti scoprono così (senza nulla togliere al teenager in oggetto, che è sicuramente un miglior osservatore del mondo rispetto a quelli che ci consigliano quali azioni comprare e quali no) che: 1) i teenager odiano la pubblicità invasiva; 2) la carta stampata (print media) per loro è irrilevante; 3) non pagano per la musica, la scaricano illegalmente oppure la ascoltano in streaming e molti di loro non hanno mai comprato un cd; 4) la radio è morta; 5) anche la TV non si sente tanto bene (due considerazioni scontate quando hai a disposizione via internet una cosa che si chiama on-demand, quello che vuoi, quando vuoi, come lo vuoi); 6) non usano Twitter perché in troppo pochi leggono quello che scrivono; e via dicendo.

In questa sede la considerazione più importante riguarda il fatto che i teenager continuano a spendere soldi per andare al cinema, ma soltanto perché è un’attività sociale e, spesso, scelgono il film direttamente lì, quando sono arrivati in sala.

Che il valore aggiunto del cinema sia, per i ragazzi, una dimensione sociale (per altri un’esperienza di visione comunque diversa) lo si è sempre detto e proprio su questo il cinema può lavorare per continuare ad avere un pubblico che non ha nessuna intenzione di abbandonarlo.

Quanto alla lotta alla pirateria dovrebbe essere sempre più evidente che si tratta di un fenomeno che minaccia non tanto le sale, quanto lo sfruttamento successivo del film. Uno sfruttamento che, a differenza di quanto è accaduto per la musica, avrebbe ancora l’occasione per offrire delle opportunità legali al passo con i tempi, prima che i film diventino tali e quali alla musica. E siamo già a buon punto.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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