Matinée della domenica di Cineguru #5

Buongiorno e buona domenica, appuntamento numero 5 con Cineguru Matinée, riflessioni domenicali sulle principali news sullo showbiz della settimana che si va concludendo. Con l’assegnazione dei Golden Globes, durante una cerimonia in cui un’acqua minerale sembra essere stata più influente delle star, si è inaugurata la stagione dei premi e Roma di Netflix continua quella che secondo molti è una corsa predestinata verso uno o più premi Oscar. Un’altra tappa lungo questo percorso di avvicinamento al premio più ambito che posizionerebbe Netflix tra le aziende che “sanno produrre cinema”, è stata anche l’assegnazione delle 7 nomination ai BAFTA, premi e nomination che hanno avuto un effetto anche sul titolo Netflix che in borsa ha fatto segnare degli ottimi incrementi in una settimana in cui un altro operatore che in Italia tendiamo a trascurare, Roku, vedeva un notevole rimbalzo del proprio titolo dopo aver dichiarato un record nell’incremento dei minuti di visione da parte dei propri abbonati.

 

Al di là di queste, che potremmo ormai definire notizie ordinarie per il settore, la novità in assoluto più interessante della settimana sul fronte delle streaming wars è stato il lancio da parte di Amazon di un servizio di AVOD, ovvero di video on demand basato non su abbonamento, come lo SVOD di Netflix e lo stesso Amazon Prime, ma su inserzioni pubblicitarie. A parte la soddisfazione personale nel vedere un database (anzi il database per eccellenza) di cinema che diventa un sito di VOD, una conclusione che mi riporta alla ragione di fondo per cui ormai oltre 20 anni fa aprii un sito di cinema e che pensavo fosse scritta nel destino dell’IMDB quando Amazon lo comprò, si tratta di una mossa strategicamente importante nello scenario delle guerre dello streaming.  Il servizio, che si chiama IMDB Freedive, è per ora disponibile solo negli Stati Uniti, non richiede alcuna forma di iscrizione, è accessibile da web appunto attraverso il sito IMDB mentre si appoggia alle App di Amazon Prime per quel che riguarda la presenza su dispositivi mobili e Smart TV, mentre ha servizi dedicati sulle Fire Stick ed è ovviamente integrato con Alexa e gli Alexa Echo. La library per ora è di 400 film e 150 show televisivi ma al di là della dimensione di un serbatoio di contenuti destinato a crescere quello che è particolarmente interessante è quanto la società di Bezos sia ormai l’operatore che offre più modalità di sfruttamento del prodotto audiovisivo. Tra l’altro questo nuovo servizio offre ad Amazon un ulteriore bacino in cui espandere la propria area Amazon Advertising che come sappiamo, pur essendo salita agli onori della cronaca pochi mesi fa quando è stata ufficialmente annunciata, è già attualmente la terza potenza mondiale nella raccolta pubblicitaria e l’unica potenzialmente in grado di competere col duopolio Google-Facebook.

Gli altri operatori del segmento AVOD sono tra gli altri The Roku Channel, Tubi, PopcornFlix, Vudu, FilmRise YouTube, ma ci sono anche realtà, come Hulu, che offrono forme ibride, con un abbonamento più o meno oneroso a seconda che si accetti o meno la presenza di pubblicità, che ritengo personalmente tra gli esperimenti più interessanti da tenere sotto osservazione in quanto sono gli unici che rispetto al modello SVOD puro, quello attuale di Netflix, hanno la possibilità di segmentare meglio il pubblico e, in futuro, di ragionare su un premium price che si renderà necessario per sostenere la produzione come la conosciamo oggi. Da notare che passando dalle App Amazon Prime per la parte IMDB Freedive Amazon sta già in parte realizzando un servizio ibrido agli occhi dei suoi utenti che percepiscono quindi la possibilità di accedere a titoli con la pubblicità o a pagamento anche se, per ora, solo di un abbonamento.

Durante la settimana anche Marco Montemagno è tornato a parlare di Netflix e lo ha fatto, con l’impareggiabile dono della sintesi che lo contraddistingue, cominciando col domandarsi che faccia avremmo fatto se qualche anno fa qualcuno fosse venuto a dirci che un sito internet avrebbe vinto dei Golden Globes.

Battute a parte la riflessione nel video di Marco mi sta molto a cuore e si concentra sul come cambia il concetto di Blockbuster nell’era di Netflix, un tema che ho già toccato più volte anche se dal punto di vista del rapporto con il valore percepito dall’utente. Per Netflix ciò che conta ti trattiene sulla piattaforma nel lungo periodo (quindi al di là dell’annuncio sui 45 milioni di account che hanno visto Bird Box o dei premi di Roma potrebbe essere più Friends che altro) mentre per il cinema è un titolo, come sappiamo, con incassi milionari.

 

Chi sembra avere le idee straordinariamente chiare su cosa sia un Blockbuster e non solo su questo è Bob Iger. In una lunga e interessantissima intervista sulla Disney rilasciata a Barrons il CEO della casa di Topolino spazia a 360° tra tutti i business dell’azienda parlando non solo dell’acquisizione della Fox e delle differenze tra Disney e Comcast, ma di tutta la strategia del gruppo in un’epoca di stravolgimenti che, collocata nella prospettiva di una storia lunga 95 anni, acquista tutta un’altra drammaticità. Si parla di come affrontare le sfide e della necessità del cambiamento e del fatto che sicuramente, dopo, ci troveremo di fronte ad una azienda diversa, radicalmente cambiata. L’intervista è su una testata finanziaria e quindi in gran parte orientata a spiegare elementi utili a spiegare la strategia ovvero quanto Disney ragioni sul ROIC (Return on Invested Capital) e quindi su quanto l’azienda sia migliorata con la sua focalizzazione sulle franchise e che senso abbiano nuove franchise come Avatar al suo interno, ma è anche interessante capire come sarà trattato in termini di business autonomo il nuovo servizio di streaming, che anche se ha un nome internamente viene ancora chiamato “the service”. The service, ovvero Disney+,  ovvero il servizio direct-to-consumers di Disney è ovviamente il tema caldo del momento e in questo Iger conferma di avere le idee molto chiare non solo su come “rendere il conto” agli azionisti, cui chiede pazienza nel momento in cui si passa da un modello su licenza (citando anche quelle che si riprendono da Netflix) a un momento in cui vengono verranno valorizzate direttamente attraverso “il servizio”, ma anche su come influenzerà le decisioni di produzione e distribuzione dei titoli.

Da questo punto di vista Iger torna a confermare per quanto riguarda il cinema qualcosa che aveva già comunicato in altre occasioni ovvero che Disney produrrà contenuti direttamente per il servizio di streaming decidendo chiaramente cosa va al cinema e cosa no, ad esempio no a un film di Star Wars per lo streaming, ma si a una serie tv per lo streaming, così come si a un live action di Lilli e il Vagabondo direttamente per quello che una volta avremmo chiamato direct-to-video.

Ecco forse è proprio questa cultura, già radicata nell’azienda, del saper distinguere con chiarezza che esiste una produzione che merita il cinema ed una produzione adatta ad uno sfruttamento su altri canali che una volta erano il direct-to-video o la televisione, mentre oggi è definitivamente il direct-to-streaming. Con questa cultura la Disney sembra sicuramente l’azienda sul mercato con la percezione più chiara di cosa significa segmentare il valore delle proprie proprietà intellettuali realizzandone contenuti adatti a diversi canali e relative forme di ritorno economico e chiarissimo è il ruolo che il Cinema occupa in questo gioco.

Our studio makes between eight and 10 movies a year, and they’re big budget, hopefully big box-office films, that really belong, we believe, on the big screen. We’re not looking to take one of those and put it on this platform. When we made the announcement, we said we’re going to make original movies for the platform. A number of ideas were pitched. Other than one, which was being contemplated for the big screen but wasn’t a big movie, none of them were in development as big-screen movies. One of them that we’re making for the platform is a remake of Lady and the Tramp. There was not one discussion about whether we should make that for the big screen. Everybody said this is a great story, would love to make it again, let’s make it for what we call “the service” internally.

Quindi abbiamo un prodotto per il cinema e un prodotto per il servizio, una chiara percezione del valore e un modello che funziona per trarre il massimo ritorno possibile dagli investimenti fatti per tali produzioni e che il cinema globalmente sarà al sicuro per un po’ di tempo indipendentemente dalle uscite tecniche/marketing dei film Netflix al cinema in contemporanea con lo streaming.

Nel frattempo da noi la settimana ha visto la diffusione da parte di ANICA delle proiezioni Cinetel sui dati SIAE (penso di averla capita così io), da cui Alberto Pasquale ha ricavato la bella infografica di sintesi citata qui sopra e che si può vedere meglio a questo link. Noi avevamo già commentato con i post di Robert Bernocchi l’andamento della passata stagione evidenziando secondo noi le criticità più importanti, e su queste nuove integrazioni di dati abbiamo trovato molto interessante condividere il punto di vista che ci ha affidato Michele Casula e che abbiamo pubblicato ieri con il titolo E allora la Germania?

L’analisi di Michele fa un passo in avanti molto importante nell’evidenziare quanto il mal comune mezzo gaudio della stagnazione quando non crollo, come nel caso tedesco, del cinema nei principali mercati europei debba confrontarsi con un mercato globale, cinese, americano e persino UK in espansione e porta l’attenzione sull’andamento di alcuni film esemplari per dire che forse i nostri cinema, come quello UK dato che era una riflessione fatta anche mentre analizzavamo quegli incassi, hanno bisogno di qualcosa di più.

L’incasso italiano registrato per Avengers: Infinity War incide per meno dell’1% sul box office mondiale, e rappresenta meno del 3% rispetto a quello statunitense (che a sua volta esprime il 33% dell’incasso mondiale del titolo).

L’incasso italiano registrato per Black Panther (che svetta sulla classifica USA) incide per un misero 0,5% sul box office mondiale, e rappresenta l’1% di quello statunitense (che in questo caso esprime più della metà dell’incasso mondiale).

L’incasso italiano di Bohemian Rhapsody (leader del 2018 nel nostro paese) incide per il 3% sul box office mondiale (il triplo rispetto ad Avengers: infinity War) e rappresenta l’11% di quello statunitense (che su questo titolo – co-produzione Gran Bretagna/USA su una band inglese – incide solo per il 28% sull’incasso mondiale).

Tra le riflessioni conclusive di Michele anche uno spunto che, lavorando io in una agenzia che ha la fortuna ci occuparsi dei molti dei blockbuster in uscita nel nostro mercato, sottolinea la frustrazione quotidiana del dover puntare solo all’adattamento di contenuti globali, piuttosto che puntare a un reale adattamento alle specificità del mercato.

Anche il prodotto internazionale potrebbe comunque performare meglio nel nostro paese se ci fosse una maggiore flessibilità nell’adattamento dei materiali, alla luce delle specificità della domanda nostrana.

Detto questo concludo con una serie di citazioni che trovo coerenti con quanto sopra raccolte durante la settimana, mentre segnalo un lungo articolo del Sole 24 ore che analizza i dati di Box Office nostrano su un più lungo orizzonte temporale. Buona domenica.

Davide Dellacasa: Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.

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