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Matinée della domenica di Cineguru #2

Oggi nel nostro Matinée parliamo delle anteprime di Aquaman che si sono svolte il 15 dicembre negli USA, della presunta rivalità Netflix – Cinema e del nostro (quasi) decreto window.

Buongiorno e buona domenica prima delle feste. Il Natale al Cinema 2018 è appena cominciato festeggiando con il più natalizio dei film, Il ritorno di Mary Poppins, in vetta a un Box Office che, per quanto riguarda il totale di dicembre, è per adesso in leggerissimo calo rispetto al 2017. Vedremo nei prossimi giorni come andrà e in proposito mi piace cominciare questa edizione del mio appuntamento settimanale giunto addirittura alla sua seconda puntata parlando delle anteprime di Aquaman che si sono svolte il 15 dicembre negli USA.

Il film, che esordisce in questo weekend, sta performando in modo solido come il suo protagonista e vede una previsione per il weekend di esordio di oltre 70 milioni di dollari coerente con quanto lasciavano presagire le anteprime del 15 dicembre scorso. Organizzate insieme ad Amazon Prime, che l’anno scorso aveva realizzato in collaborazione con Sony le anteprime di Jumanji: Benvenuti nella Giungla, hanno superato di gran lunga il precedente record, con un totale di quasi 3 milioni ottenuto in circa 1.200 cinema. Più che sui valori di Box Office, che trattiamo sempre in altra sede, mi interessa portare l’attenzione su questo queste anteprime a pagamento, organizzate spesso con importanti partnership promozionali e che negli USA possono contare su piattaforme tecnologiche molto evolute come Fandango e Atom, siano uno strumento utilissimo per misurare l’attesa nei confronti dei titoli in arrivo in modo concreto. Un peccato che nel nostro paese sia stato impossibile, in tutti questi anni, riuscire a portare avanti progetti del genere, che si pretendono pronti quando serve, un po’ come gli spazzaneve a Roma l’unica volta che nevica in 10 anni.

Cambiando argomento durante la settimana sono riuscito a vedere Roma e ho raccontato la mia esperienza su Facebook. Durante la discussione che ne è seguita ho dovuto ribadire che, al di là del giudizio specifico sul film e su dove valesse la pena vederlo, alla fine non sarà mai una verità oggettiva ma sempre il risultato del gusto e della sensibilità di ognuno, io non sono assolutamente contro lo streaming. Credo e predico da anni, da prima dell’avvento dello streaming e in particolar modo da quando finalmente c’è la possibilità di acquistare i film in digitale (EST), che il settore debba trovare il suo equilibrio nella convivenza dei canali, unico modo per garantire il miglior ritorno possibile sull’investimento fatto e mettere fuori gioco la pirateria. La libertà di distribuzione sui diversi canali, a condizione che il modello di compenso sia compatibile nel medio periodo con la salute della filiera produttiva, cosa che come ho già detto lo SVOD non garantisce, anche contestuale, garantisce il più efficiente incontro tra domanda e offerta e offre al pubblico l’opportunità di scegliere dove vedere un film (ma anche una serie tv) nella modalità che ritiene più valida e, perché no, comoda.

Restando sempre in tema è uscita proprio in questi giorni l’ennesima ricerca che conferma quanto la rivalità Netflix – Cinema sia da prendere con le molle (a differenza di quella streaming-TV come si evince dal grafico qui sopra). Anche in questo ennesimo lavoro realizzato dall’EY’s Quantitative Economics and Statistics group (parte di Ernst & Young) dimostra quanto tutti noi spesso fingiamo di non sapere pur vivendolo in prima persona, ovvero che chi va tanto al cinema consuma anche più contenuti in streaming e viceversa. Che le varie forme di consumo audiovisivo siano tra di loro più complementari che nemiche si è detto più e più volte e lo aveva anche accennato Michele Casula di Ergo Research durante il nostro evento di presentazione di Sala e Salotto lo scorso marzo. Il consumatore di intrattenimento audiovisivo, potremmo dire prevalentemente scripted, è estremamente appassionato e, molto banalmente, sceglie cosa vedere al cinema e cosa sugli altri canali a sua disposizione, pirateria compresa quando è in grado di farlo e/o manca il prodotto che cerca. E più è appassionato e più è così. Però non si piò nemmeno banalizzare troppo il ragionamento e non pensare che certi ragionamenti si applichino in modo identico in diversi mercati e debbano essere considerati, tra l’altro, per una fotografia dell’esistente che va comunque messa in prospettiva per capire cosa potrebbe accadere in futuro. Per questo ho chiesto a Michele un pensiero integrativo su questo, anche perché dal nostro appuntamento è passato quasi un anno, e mi ha risposto con quanto segue.

Ci sono diversi aspetti interessanti nello studio realizzato da EY Quantitative Economics and Statistics group per conto della National Association of Theater Owners (NATO). La sottolineatura della complementarietà fra cinema in sala e fruizione di prodotti scripted su piattaforme “alla Netflix” è tanto condivisibile da sconfinare nel banale. Spingerla fino alla conclusione che i servizi SVOD non uccidono l’esperienza in sala, è gioco facile in un mercato come quello statunitense reduce da un’annata da record, ma il tutto guadagna una rilevanza decisamente maggiore alla luce del fatto che la penetrazione di Netflix negli USA è vicina al 50% (fonte: Statista).

In Italia Netflix ha guadagnato il ruolo di alibi preferito per gli andamenti altalenanti del box office nostrano ben prima di arrivare al 10%, e con le pay tv tradizionali che, anche negli anni migliori, hanno gravitato (cumulativamente) nell’intorno del 30%.

Lo studio EY individua come primo “indizio della complementarietà” il fatto che gli alto-consumanti delle sale fruiscano al tempo stesso di servizi di streaming per un monte-ore rilevante, e che questo superi quello mediamente espresso da chi al cinema si limita ad andarci una o due volte in un anno.

Il fenomeno descritto sopra potrebbe essere commentato con un accademico “grazie al cavolo”, ma proviamo a qualificarlo meglio anche alla luce di alcuni indicatori nostrani.

L’edizione 2018 di “Sala e salotto” (che descrive il mercato italiano con un campione da 4000 casi contro i 2500 usati da EY per descrivere il mercato statunitense), evidenzia che chi NON accede a servizi SVOD né dispone di abbonamenti a pay TV tradizionali, si reca al cinema mediamente 1,2 volte in un anno (ed al proprio interno ha una componente di moviegoer pari al 37%). Chi dispone sia di abbonamento alla pay tv sia di diritti attivi a Netflix o altri servizi SVOD, va al cinema circa 4 volte in un anno, grazie ad un 80% di moviegoer. Numero di biglietti-sala (3,4) e livelli di penetrazione theatrical simili (nell’intorno dell’80%) anche per chi ha Netflix (o simili) e non Sky&Co, mentre fra chi ha solo l’abbonamento alla pay tv, senza accedere a piattaforme SVOD, la frequenza media annua al cinema è pari a 2, grazie ad un 60% di moviegoer (una penetrazione comunque più alta rispetto a quella rilevata sull’insieme dei 14+, pari al 51%).

Davanti a questi numeri è facile prendere un abbaglio interpretativo. Se in un mercato viene lanciato un servizio che consente di vedere serie tv e film on demand dal divano di casa, è chiaro che gli early adopter saranno persone che apprezzano particolarmente i prodotti scripted e che sono disposti a pagare per questa forma di intrattenimento, ed è altrettanto chiaro che ad esprimere il nucleo di tali utenti saranno i moviegoer. E’ a partire da questo momento che scatta l’interrogativo sull’orizzonte temporale della coabitazione fra le due esperienze, e sulla “tenuta” della parte theatrical in termini di volumi di consumo.

Nella fase iniziale, i consumi scripted in streaming si configurano come “in aggiunta” rispetto a quelli relativi al cinema in sala ed alla stessa TV lineare.

Il trade off successivo è solo un’eventualità, ma è chiaro che il mutamento di contesto non è “neutro”.

L’incremento di offerta di contenuti scripted originali e (non sempre) di qualità ad un costo relativamente basso, agisce sui paradigmi di gusto, sulla percezione del valore e, di conseguenza, sulla willingless to pay.

Non c’è nessun automatismo nell’avere Netflix e nel diminuire conseguentemente il numero di film visti al cinema (o il numero di fiction viste sulle generaliste). C’è tuttavia una conseguenza certa, legata all’impatto sui paradigmi di gusto. Netflix “alza l’asticella”, portando lo spettatore a chiedersi con maggiore insistenza rispetto a prima se vale la pena di pagare il prezzo del biglietto per vedere al cinema il film X o di dedicare due ore alla visione de “L’amica geniale” nel giorno della messa in onda.

Dalla ricerca EY, e più in generale dall’andamento del mercato statunitense, arriva una buona notizia: con Netflix su livelli di penetrazione che verosimilmente in Italia non raggiungerà mai, il box office riesce a festeggiare un’annata record (e lo stesso accade in UK). Segno di un’offerta theatrical che, con il metro del gusto del pubblico (non necessariamente con quello dei critici e dei festival), ha saputo fronteggiare l’innalzamento dell’asticella. Non è una sfida impossibile neppure per l’offerta nostrana, se un numero maggiore di titoli iniziasse a sentire come “urgente e necessario” il fatto di piacere a qualcuno.

Stati Uniti e come vedremo sotto anche UK festeggiano annate da record quindi, nonostante la coabitazione con servizi alla Netflix, ma avendo reagito in modo deciso, appunto, alla coabitazione. Mentre la settimana scorsa parlavo dei record del Box Office USA, mi segnalavano questo articolo sull’anno da record in UK dove la stagione si chiuderà con risultati che non si vedevano dal 1971. Quindi il miglior risultato da 40 anni, nonostante Netflix appunto.

Tra le ragioni di questo risultato oltre alla maggiore varietà di titoli al cinema, “A broad range of films and genres are doing extremely well. The notion [that] it is only superhero films driving the box office is disproved by the numbers.” ha detto Phil Clapp, chief executive della UK Cinema Association, anche gli importanti investimenti fatti dai cinema, con schermi migliori e l’emergere delle sale boutique. Secondo Crispin Lilly, CEO della catena Everymen,  la combinazione film e socializzazione sembra avere parecchio successo nel paese, con i numeri del box office che raccontano che c’è vita oltre al Binge Watching. In particolare c’è un passaggio citato dell’intervista a Lilly che è in gran sintonia con quanto stiamo discutendo.

“Of course there is competition out there – from pubs and bars to home entertainment,” “People want value for money but they also want value for time. Offering value for money is a given but offering value for people’s time is something you really have to work to deliver.”

“There are films people choose to see on the big screen rather than at home. However, with investment in the experience it is also removing the risk of relying on just the film being good. Cinema is alive and well.”

Mentre Netflix corre il rischio di continuare ad essere un pericoloso capro espiatorio di mali che andrebbero innanzitutto curati altrove, durante la settimana Robert ha pubblicato una riflessione sul nostro (quasi) decreto window: “In molti paesi europei ci sono regolamenti solo per il prodotto nazionale oggetto dei benefici pubblici e d’altronde, se la nuova Legge prevede grandi sostegni alle sale, è anche normale che i film che hanno ricevuto il contributo possano essere ‘indirizzati’ verso questa strada. Ed è strano che una regola che riduce a due mesi le window per la stragrande maggioranza dei film italiani venga vista come anti Netflix e retrograda, quando nei fatti è decisamente vero il contrario. Insomma, stiamo percorrendo una strada che porta verso il cambiamento. Ma come spesso succede nel mondo del cinema italiano, “se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda”…

Intanto anche in Francia hanno cambiato le window, riducendole in alcuni casi, e per fortuna Alberto Pasquale ha condiviso su Facebook un grafico così anche io che non capisco il francese mi sono fatto un’idea del cambiamento che potrà non piacere ma lascia le piattaforme di streaming SVOD, quelle più povere se mettiamo da parte le risorse di cui possono disporre per fattori estranei alle economie di settore, restano oltre i 36 mesi.

Chiudo l’appuntamento settimanale con un augurio di Buon Natale e un consiglio off-topic nel caso qualcuno abbia pensato di rallegrare il momento natalizio nei suoi cinema assoldando un Babbo Natale. Il consiglio è di rivolgersi a seri professionisti anche in questo ambito piuttosto che affidarsi a persone improvvisate. Guardate cosa è successo qualche settimana fa a New York.

Buon Natale!

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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