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Dove va il cinema italiano?

Questo il titolo di un importante convegno che si è svolto ieri. Difficile dire dove vada, ma che abbia le idee confuse, non ci sono dubbi…

Ieri, pubblico delle grandi occasioni per il convegno “Dove va il cinema italiano?”, organizzato dall’Anica, che potete anche recuperare qui sotto:

Partiamo dalle cose serie e che ho apprezzato. Il ministro Franceschini ha promesso che 14 decreti saranno approvati entro il 30 giugno, In effetti, la nuova legge, benché approvata da tempo, dipende da questi decreti e dalla loro approvazione. Speriamo che vada effettivamente così. Ha ragione comunque il ministro a dire che certi commenti su come stanno andando alcuni decreti sono fin troppo catastrofici. La legge è decisamente positiva, non sarà qualche norma meno soddisfacente a creare problemi veri. Un po’ meno confortante sapere che Cinecittà sta per tornare in mani pubbliche: proprio sicuri che lo Stato saprà valorizzarla (anche da un punto di vista economico)? E che, in generale, sia facile/possibile valorizzarla, visto che degli imprenditori privati (peraltro, non esattamente gli ultimi arrivati, anzi professionisti con grandi competenze cinematografiche), non ci sono riusciti in questi anni?

E’ stato molto interessante l’intervento di Marco Chimenz, anche per il modo scoppiettante e coinvolgente con cui l’ha fatto, mischiando serie televisive molto ricercate con… il tennis. Poi, personalmente preferisco Pete Sampras, ma capisco l’amore per Roger Federer…

Importante l’intervento di Nicola Giuliano, che ha lamentato il fatto che spesso (per promozioni varie) abbiamo venduto il cinema come se fosse qualcosa di poco conto, portando il pubblico a non voler più accettare un prezzo ‘normale’.

Interessante lo sceneggiatore Nicola Guaglianone, che ha fatto presente come spesso molti parlino delle loro opere come “della cultura”, stabilendo quindi che la cultura sono ‘loro’. E veniamo invece alle cose poco serie, una serie di evergreen che ai convegni non mancano mai (e di cui invece farei volentieri a meno)…

I figli
Una costante (almeno fin da quando partecipo ai convegni) è il fatto che i partecipanti citino i propri figli e le loro abitudini legate al cinema, sempre presentandoli come un esempio perfetto di cosa funziona o meno. Il massimo è stato quando, anni fa, ho sentito (non mi ricordo detto da chi) una cosa tipo “mio figlio vede i film sul tablet, quindi il cinema in sala è morto”. Sbaglio forse io a cercare di analizzare dati complessi e perdo tempo sugli incassi per tirar fuori valutazioni oggettive. Ma forse dovrei fare un figlio, altrimenti, se mi invitano a un convegno, che c… avolo posso dire?
Comunque, visto che i figli vengono sempre citati, mi permetto di consigliare al prossimo convegno di invitare l’unico, vero grande figlio con un ruolo fondamentale a favore del cinema italiano: quello di Valsecchi, che ha spinto il padre a prendere Zalone e I soliti idioti

Le commedie sono sempre in crisi
Una cosa che mi diverte sempre di questi convegni, è che almeno 2-3 persone sul palco diranno “la commedia non funziona più, le storie sono sempre le stesse, vediamo gli stessi volti, ecc. ecc.”. Che la commedia italiana dovrebbe essere più variegata, non c’è dubbio. Ma è un po’ buffo notare che in una stagione 2016-2017 in cui, nei primi 20 incassi, ci sono 17 commedie, il problema del calo di pubblico vada attribuito a questo genere e non ad altri. Mi piacerebbe che qualcuno dicesse “il cinema d’autore/sociale italiano è in profonda crisi con il pubblico, forse dovremmo ripensare a questo modello unico, che è quello di un cinema che copia i Dardenne, adora inquadrare le nuche e che ha grossi problemi a scrivere sceneggiature con un minimo di struttura in tre atti che sia coinvolgente e non respingente per lo spettatore”. Il primo che lo dice, avrà il mio applauso a scena aperta…
Su questo, comunque, ho una teoria. Non sarà che, anche tra gli addetti ai lavori, molti alle fine le commedie le vedono comunque e invece il cinema d’autore lo evitano (ma sono sempre pronti a esaltarlo… a parole)? Questo spiegherebbe come mai si pensa che le commedie sono tutte uguali (accusa ragionevole, per carità), mentre non si dice mai che i film d’autore/sociali sono tutti uguali (perché vedendone uno ogni tanto, sembrano freschi e nuovi).

Le sale non sono più centrali, forse scompariranno, peraltro fanno schifo, vuoi mettere prima?
Iniziamo dalla fine. A sentire certe anime belle (soprattutto dai sessanta in su), c’era un tempo in cui la visione al cinema era magica e le sale erano bellissime. Forse non ci si ricorda che c’era anche un tempo in cui la gente al cinema fumava e, anche senza tornare agli anni settanta, la realtà è che tante sale facevano schifo anche solo 10-15 anni fa e le proiezioni in pellicola (rovinata) erano pessime. Ora ci saranno altri problemi (tipo la pubblicità troppo lunga prima dei film in certe strutture), ma con la digitalizzazione e i grandi investimenti non c’è dubbio che le sale siano migliorate, così come in generale la visione di un film, di ben altro livello rispetto al passato, anche per quanto riguarda il sonoro.
Sul fatto che le sale non contino più niente, mmm, vediamo. Considerando che l’home video ha subito un tracollo, che il VOD/SVOD da noi ancora fatica a fare numeri veramente significativi (sembra quasi che gli addetti ai lavori pensino che Netflix in Italia abbia dieci milioni di abbonati e che è una fonte di reddito importante per i film italiani che compra…) e che le televisioni pagano sempre meno, proprio sicuri che a essere in crisi sia la sala, i cui numeri dagli anni novanta sono aumentati e che comunque anche negli ultimi dieci anni sono sostanzialmente stabili?

La scuola e l’educazione all’immagine
Anche su questo tema, almeno 2-3 persone che vogliono l’obbligo del cinema a scuola non mancano mai. Al di là degli aspetti ideologici, bisognerebbe chiedersi se l’idea che c’è dietro (“se il pubblico viene educato, andrà a vedere i miei film sofisticati”) sia efficace. Io temo di no, magari il pubblico che viene educato leggendo manuali di sceneggiatura, capirà quanto sono carenti tanti film italiani (anche e soprattutto quelli che vanno ai festival) in questo senso. E magari vedrà prodotti americani o francesi. Questo peraltro se l’insegnamento a scuola non provocherà gli stessi effetti che ha avuto con Manzoni, diventato l’autore italiano più odiato dagli italiani. Già me lo immagino un pubblico a cui viene fatto vedere Antonioni a forza: è la volta buona che l’affluenza al cinema crolla veramente…

I ‘casi’
Un esempio citato spesso ieri è stato La tenerezza, che peraltro è stato il maggiore incasso di una pellicola italiana non comica del 2016-2017. Visto che il film di Amelio ha funzionato bene, si dimostra che questo cinema può ancora avere successo e che dobbiamo puntarci in massa, giusto? Mica tanto. Se un film d’autore funziona e altri 50 no (e questi 50, vengono ‘stranamente’ dimenticati), non è che la strada sia piena di trionfi. Anche perché un film d’autore che funziona magari porta un piccolo profitto (o si va in pari), una commedia che funziona arricchisce notevolmente i produttori. Poi, capita pure che si citi un documentario che ha incassato 39.284 euro (sostanzialmente, quasi tutti ottenuti in una città, classico esempio di fenomeno locale, come ce ne sono a decine ogni anno) come un caso di successo e tutti che si accodano. Ma per essere andati male in Italia, quanto bisogna incassare, 300 euro?

“Il pubblico vuole qualcosa di nuovo”
Questo almeno una persona lo dice sempre. Certo, è ovvio, come abbiamo fatto a non capirlo? D’altronde, i primi quattro incassi del 2017 in Italia sono stati La bella e la bestia, Cinquanta sfumature di nero, Fast & Furious 8 e Pirati dei Caraibi – La vendetta di Salazar. E’ il trionfo del nuovo che avanza, come no…

Le window
Si fa sempre il discorso delle finestre da ridurre, come se questo potesse salvare lo sfruttamento di tutti i film, anche quelli più piccoli. Sicuramente, questo potrebbe aiutare (peraltro, per i film minori, in realtà già avviene), ma non ci si chiede mai: e se un film non interessa? Il fatto è che abbiamo tutti meno tempo libero a disposizione di quanto vorremmo e l’offerta di cose interessanti è enorme. Insomma, magari prima di vedere il piccolo film italiano, abbiamo venti serie televisive e trenta film stranieri in cima alla nostra lista (e magari non vedremo neanche quelli). Corollario: si dice che la pirateria danneggia i piccoli film, altrimenti si farebbero ben altri numeri. Peccato che i film/serie più piratati sono anche quelli più visti anche legalmente. E’ il motivo per cui Il trono di spade (e non qualche serie sfigata italiana) batte tutti i record di pirateria …

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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