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Osservatorio generi: Il cinema di genere in Italia

Dopo una serie di titoli dai buoni incassi, sono forti le aspettative per i nuovi film di genere italiani, a cominciare dall’imminente I peggiori. Facciamo un’analisi del settore e delle aspettative…

Dall’uscita (e soprattutto, dal trionfo) di Lo chiamavano Jeeg robot, si è capita una cosa. Da parte di addetti ai lavori e di semplici spettatori, c’è una gran voglia di cinema di genere. Che questo interesse sia limitato a una nicchia di persone e/o ad alcuni film specifici, o invece possa allargarsi a un numero importante di film prodotti e di spettatori paganti, è una sfida fondamentale per come andrà il nostro cinema nei prossimi anni.

In effetti, mentre (se parliamo di risultati tout court) la quota del cinema italiano al nostro botteghino è generalmente positiva rispetto ad altri Paesi analoghi, non c’è dubbio che, nel confronto con Paesi come Francia e Spagna, la mancanza di un cinema di genere forte da noi si fa sentire. Peraltro, sarebbe una produzione che può andare incontro a un certo tipo di appassionati (soprattutto giovani/giovanissimi) che non seguono molto i film italiani e sicuramente sarebbe più esportabile all’estero.

Ma come sta andando il cinema di genere esattamente? Per capirlo, abbiamo preso in considerazione i film ‘chiaramente’ di genere usciti dal 2015 in poi, con scelte che ovviamente possono essere discusse. Per esempio, abbiamo messo i due capitoli di Smetto quando voglio perché abbiamo colto l’impronta anglosassone (non solo Breaking Bad, ma anche tanta produzione inglese, come L’erba di Grace), coniugata in questo caso al modello I soliti ignoti. Non abbiamo invece inserito Perfetti sconosciuti, considerandolo più in linea con la commedia classica italiana (cosa che, a scanso di equivoci, non è certo un insulto), anche se il valore di quel concept lo ha reso un film dagli ottimi risultati all’estero, sia in termini di incasso che di vendite dei diritti di remake. In attesa di vedere come se la caverà I peggiori, in uscita il 18 maggio, il risultato è stata questa infografica (qui la versione interattiva):

GLI_INCASSI_DEI_FILM_DI_GENERE_2015__2017

Il titolo più forte è stato ovviamente Lo chiamavano Jeeg Robot, che con una tenuta straordinaria è riuscito a superare i 5 milioni. Il dato di Suburra è importante, ma anche frutto di un investimento notevole, a livello produttivo e promozionale.

Seguono i due capitoli di Smetto quando voglio, che conquistano complessivamente quasi 7,5 milioni, in bilico tra modelli anglosassoni e commedia classica italiana à la I soliti ignoti. Ma mentre il primo capitolo è stato un successo a sorpresa indiscutibile, dal secondo ci si aspettava qualcosina in più, mentre il dato di 3,3 milioni preoccupa anche e soprattutto per i risultati del terzo, in uscita nella stagione 2017-2018.

Dietro, due dei titoli più amati di questo periodo, Veloce come il vento e Mine. Sono interessanti per come risultano fedeli a dei modelli americani, peraltro Mine anche con coproduttore e protagonista statunitense. Io non trascurerei neanche il dato di Game Therapy, visto che non è scontato fare 1,3 milioni con protagonisti sconosciuti al cinema.

Faticano invece dei titoli più strettamente ‘noir/thriller’, come Il permesso, Non essere cattivo, Falchi, Uno per tutti e Milionari. Sono situazioni (e budget) diverse, ma fanno capire che un certo tipo di storia fatica ad arrivare a un pubblico che non è quello strettamente d’essai. Il permesso e Zeta probabilmente sono quelli che hanno fatto il massimo, Non essere cattivo un titolo che ha sfruttato fino a un certo punto la candidatura italiana all’Oscar, gli altri non sono riusciti a sfondare (penso anche a un film del 2014, Take Five, una pellicola molto interessante sul modello Le iene e che meritava di più).

A proposito di mancanze, non c’è in questo elenco neanche Il ragazzo invisibile, visto che era uscito a Natale del 2014 e aveva incassato 4,6 milioni di euro. Grazie al sequel di quest’anno, in uscita ad autunno, capiremo meglio il gradimento di quel titolo rispetto alle attese degli appassionati.

L’impressione è che ci siano stati dei film su cui si è puntato molto, come il secondo Smetto quando voglio e Suburra, mentre Lo chiamavano Jeeg Robot ha sicuramente avuto dei problemi per arrivare in produzione, ma il lancio promozionale è stato imponente. Altri invece sono decisamente lavori più piccoli e con meno pressioni sulle spalle, come probabilmente è il caso de I peggiori (questo anche per dire che non deve certo incassare come Suburra o Smetto quando voglio).

Di sicuro, sarebbe importante che i tanti sostegni pubblici che vanno a film d’essai e sociali, con storie minimaliste e che faticano molto a trovare un pubblico (soprattutto under 30-40 anni), fossero maggiormente distribuiti a prodotti che portano avanti il cinema di genere. In effetti, mentre le commedie continuano a fornire un contributo forte alla nostra industria (come, peraltro, avviene sia in Europa che in Asia per i prodotti locali), tanto da aver rappresentato circa l’80% degli introiti del 2016, è chiaro che un certo cinema ‘sociale’ non riesce a fare breccia e non aiuta la nostra industria. E’ anche il motivo per cui, al posto di chi auspica un cinema di genere forte, mi concentrerei su questo ‘nemico’, piuttosto che sulla commedia.

Quello che mi sembra però più interessante dire di questa serie di titoli, è che, nonostante le normali ragioni mediatiche, non sembra proprio esserci un vero filone ‘coerente’ e una serie di artisti comuni. Non lo è a livello produttivo, se non per quanto riguarda i lavori di Matteo Rovere come regista (Veloce come il vento) e produttore (la serie di Smetto quando voglio). E forse non lo è neanche a livello narrativo, se si pensa alle differenze anche in prodotti considerati ‘simili’ (forse solo perché escono dai canoni tradizionali e diffusi della commedia e del cinema d’essai).

Ma proprio quello che viene considerato il capostipite del genere, Lo chiamavano Jeeg Robot, è un modello troppo anomalo e personale per poter fare scuola. Non è un’accusa, anzi, solo che mentre una certa tipologia di film del passato (i western di Sergio Leone, l’horror giallo all’italiana – in particolare quello di Mario Bava e Dario Argento -, addirittura anche le pellicole di Antonioni) possono essere imitate (quasi sempre in maniera poco convincente), è veramente difficile pensare che si possa ‘copiare’ il lavoro di Mainetti. Che peraltro, a dimostrazione che di filone ancora non si tratta (e contravvenendo a qualsiasi regola del cinema americano ‘franchisizzato’), di fare il sequel in questo momento non ci pensa proprio e anzi è impegnato in un progetto ‘coreano’, che sembra ancora più complesso della sua pellicola d’esordio (un grosso in bocca al lupo è doveroso, così come la sincera speranza che funzioni al botteghino anche questo film).

Anche per questo, conviene ridurre la pressione su I peggiori: se andasse bene, è un titolo che funziona per motivi propri (e sicuramente la componente comica lo aiuterà a difendersi, in particolare in Campania, a dimostrazione che non è la commedia ‘il nemico’); se andasse male, certo non significherebbe che per questo i produttori dovrebbero abbandonare questa strada. Che è essenziale per una produzione commerciale solida e variegata…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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