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Perché pensiamo che il cinema italiano sia sempre in crisi?

A sentire i mass media, il cinema italiano sarebbe sull’orlo del fallimento. Ma è veramente così? Cosa ci dicono i numeri reali?

Se negli ultimi mesi (anzi, anni) avete sfogliato un quotidiano italiano, probabilmente avrete notato un atteggiamento diffuso, che si può riassumere in maniera semplice: “il cinema italiano è sempre in crisi”. Per dimostrarlo, si fa di tutto, anche utilizzare Zalone come è più utile.

Nell’anno in cui c’è e la quota del cinema italiano è fantastica (nel 2016 eravamo al 28%), si fa capire che Zalone non andrebbe considerato, perché ritenuto un’anomalia (quando invece la storia del cinema italiano degli ultimi 40 anni è fatta di grandi comici che hanno ottenuto risultati straordinari, anche superiori – come spettatori – a quelli di Zalone). Nell’anno in cui non c’è, si fanno invece confronti apocalittici rispetto ai dati dell’anno precedente, ma in quel caso i dati di Zalone vengono considerati.

Così, per portare avanti un discorso che spesso sembra più ideologico (“si fanno troppe commedie!”) che concreto, si sostengono delle idee poco realistiche. Vediamone alcune…

“Gli incassi sono sempre in calo”
Almeno, questa è la percezione che si potrebbe avere a forza di leggere articoli sulla ‘crisi’ di pubblico in sala, sui cinema che continuano a chiudere e che tra qualche anno non esisteranno più (spoiler: gli schermi cinematografici negli ultimi dieci anni sono aumentati, non diminuiti). D’altronde, se dovessimo fare una proporzione tra gli articoli negativi e quelli positivi, probabilmente sarebbe di 10 a 1. Eppure, parlate con qualsiasi addetto ai lavori competente (o, ancora meglio, studiatevi bene i dati) e la cosa che vi dirà quasi sempre è che “siamo un mercato maturo e stabile, che non cresce”. Il che non è una bellissima notizia, ma il punto è che, se è vero che non cresce, mediamente (se consideriamo cicli di 4-5 anni) non cala neanche. Siamo insomma in una sorta di ‘aurea mediocritas’ da cui non è facile uscire, ma non si vedono segnali di flessione costante (come invece capitava tra gli anni settanta e ottanta). Mi rendo conto che un articolo intitolato “il mercato dei cinema in Italia è stabile” non ecciterebbe nessun caporedattore e probabilmente non ci sarebbe neanche la ‘notizia’, ma sostanzialmente quella sarebbe una sintesi corretta. Noiosa, ma corretta.

“Il cinema d’autore costa poco, le commedie tantissimo, quindi il primo può anche incassare poco”
Non è vero, almeno non in proporzione a quanto incassano. Guardiamo un po’ di cifre incentrate su alcuni titoli d’autore che sono stati premiati ai David, partendo dai budget dichiarati al Ministero per ricevere i finanziamenti, poi vediamo gli incassi di questi titoli. E ci chiediamo ancora perché i produttori italiani preferiscono finanziare le commedie, che peraltro si vendono molto più facilmente in televisione?

“Se la maggioranza dei film non incassa granché, vuol dire che siamo in crisi”
E’ indubbio che buona parte dei film italiani (e tantissimi di quelli d’autore) si tengono in piedi perché vengono finanziati da Raicinema, che ha degli obblighi di legge, così come grazie ai fondi del Ministero. E’ giusto che sia così? O forse questo produce un eccesso di offerta, che alla fine non fa bene a nessuno? Ne possiamo discutere, ma di sicuro non è il Mercato delle sale (e sicuramente, non sono le televisioni) che richiede questo eccesso di produzione d’autore. Insomma, è ovvio che molti di questi titoli non sopravvivono grazie agli incassi, ma alla mano pubblica. Detto questo, il discorso delle commedie può essere letto così: non tutte ovviamente vanno in attivo, anzi forse la maggioranza ha dei problemi (se non per il produttore, per chi – tra distributore e televisione – lo propone al suo pubblico). Ma quando si ottiene un successo, si possono costruire degli imperi economici. Chiedere (negli ultimi 40 anni) ai produttori di Zalone, Benigni, Pieraccioni, Verdone, Aldo, Giovanni e Giacomo e tanti altri.

“All’estero le cose vanno meglio”
Non è vero. O meglio, se facciamo confronti con due Paesi come Spagna e Germania, vediamo che l’anno scorso la quota di cinema locale era rispettivamente del 18 e del 16%. Invece, da noi la quota del cinema italiano era al 28% e nel 2017 è ancora del 20,5% (il vero problema, semmai, è che calerà nei mesi estivi, visto che fino a settembre almeno non uscirà nulla di commercialmente importante). Se consideriamo questi primi tre mesi del 2017, il terzo e quarto posto assoluto del nostro botteghino sono occupati da titoli italiani (L’ora legale e Mister felicità, entrambi sopra i 10 milioni di euro). In Germania, l’unico titolo locale nella top ten è sesto (Bibi & Tina: Tohuwabohu). In Spagna, Es por tu bien sta sopra gli otto milioni di euro, ma per trovare il secondo spagnolo (Contratiempo) dobbiamo scendere intorno ai 3,5 milioni di euro. Quindi, quando pensiamo che il cinema italiano sia crollato ci basiamo su traguardi non realistici, come la quota del cinema francese in patria, costantemente sopra il 30%. Ma vogliamo veramente paragonarci a chi, da decenni, ha una legge cinema stabile, con finanziamenti enormi e un sistema che è cresciuto col tempo? E anche fosse, vogliamo avere un po’ di memoria storica? Nel 2001 (anno considerato la rinascita del cinema italiano e che comprende anche la Palma d’oro a La stanza del figlio di Nanni Moretti) la quota del cinema italiano era al 12%. Dal 2000 al 2005, è sempre stata sotto il 20%, anche inferiore al 15% in diversi anni. E adesso ci volete dire che un’eventuale quota del 19-20% del cinema italiano nel 2017 sarebbe un risultato senza precedenti? Certo, non è una buona notizia e non ci sarebbe da festeggiare. E sicuramente le cose non stanno andando benissimo negli ultimi mesi (per tutti i film, italiani ed esteri, con pochissime eccezioni). Ma non è l’Apocalisse…

Sostanzialmente, abbiamo dei mass media e tanti artisti che vanno a braccetto a dire che il cinema italiano è in crisi di idee e che non facciamo che copiare gli altri, che il biglietto del cinema costa troppo ed è una vergogna, che ormai in sala non ci va più nessuno e stiamo tutti in salotto a vedere le serie di Netflix. Se un responsabile marketing, parlando della sua azienda, dicesse un decimo di queste cose in un anno, probabilmente verrebbe licenziato prima di arrivare a mangiare il panettone, per il danno che arreca alla sua azienda. In queste condizioni, che il mercato delle sale sia ancora stabile e che il cinema italiano sia costantemente sopra la quota del 20% del botteghino nazionale, è quasi un miracolo…

Robert Bernocchi
E' stato Head of productions a Onemore Pictures e Data and Business Analyst at Cineguru.biz & BoxOffice.Ninja. In passato, responsabile marketing e acquisizioni presso Microcinema Distribuzione, marketing e acquisizioni presso MyMovies.
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