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Mercato Unico Digitale: come procede su portabilità dei contenuti e regole per gli OTT come Netflix

Al Festival di Cannes si discute di Digital Single Market: ferma opposizione degli operatori sulla prospettiva di eliminare il geoblocking, mentre il commissario Ansip assicura che verrà rispettato il principio di territorialità, ma con la salvaguardia della portabilità dei contenuti, oltre che la creazione di un level playing field per le piattaforme di streaming.

E’ trascorso più di un anno da quando la Commissione UE ha presentato ufficialmente la sua nuova strategia per il Mercato Unico Digitale, il cui obiettivo fondamentale consisteva e consiste nel creare un quadro normativo organico per media e telecomunicazioni, con regole comuni su temi fondamentali dei due comparti come: privacy, commercio elettronico, tariffe di roaming, divisione dello spettro radio, copyright e soprattutto geolocalizzione e nuovi servizi audiovisivi che agiscono tramite i canali dell’online, come Netflix e Amazon.  Questi ultimi due punti sono in particolare quelli che potrebbero maggiormente incidere sull’attuale mercato di cinema e tv, considerando come l’anno scorso la Commissione sembrasse attestata su una linea piuttosto dura per quanto riguarda, ad esempio, la storica divisione del settore in base ai confini nazionali. A luglio scorso l’istituzione ha infatti aperto un’indagine sugli accordi tra il ramo inglese di Sky e sei major americane, in cui era prevista l’inibizione all’accesso ai contenuti contrattati dalla pay-tv al di fuori dei confini di Regno Unito e Irlanda, secondo il principio piuttosto diffuso della geolocalizzazione. Quello che ha fatto sì ad esempio che l’offerta di Netflix fosse da anni disponibile in Gran Bretagna e non in altri Paesi europei come l’Italia, per quanto col tempo il blocco fosse sempre più aggirato dagli utenti grazie a strumenti per il mascheramento dell’IP.

Un provvedimento di questo tipo, nelle intenzioni della Commissione, dovrebbe andare a favore soprattutto dei player europei di dimensioni più piccole rispetto ai colossi della pay-tv e del web. Il portale italiano di video on demand, Chili Tv, attivo anche in Regno Unito, Austria, Polonia e Germania, ha più volte sottolineato l’utilità che avrebbe per il suo business una normativa che non lo costringesse a contrattare i diritti di un singolo film o di una singola serie tv per sei volte, sottostando a sei legislazioni diverse anche in materia di regimi fiscali. D’altra parte, tuttavia, abolire i confini nazionali per la trasmissione di cinema e tv sembra più facile per le multinazionali come Sky, parte del gruppo Murdoch, che infatti di recente l’ha fatto spontaneamente con Sony, siglando un accordo multiterritoriale di esclusiva sui film della major per tutti i mercati in cui è operativa, cioè UK, Italia e Germania. Eppure sempre Sky, insieme ad alti importanti brand televisivi internazionali come eOne, Fox, ITV, NBCUniversal e Viacom, ma anche l’Independent Film & Television Alliance, è stata tra i committenti di una ricerca presentata al Festival di Cannes secondo cui l’abolizione del geoblocking costerebbe all’industria ben 9 miliardi di euro, in termini di riduzione degli investimenti e del taglio dei budget di produzione.

John McVay, CEO del gruppo di indipendenti britannici Pact, ha detto a proposito dell’indagine firmata dalle agenzie Oxera e Oliver & Ohlbaum: “Questa indagine sottolinea come i piani della Commissione avrebbero conseguenze esattamente opposte ai suoi intenti, lasciando il pubblico con minor varietà di contenuti, prezzi più alti e un impatto devastante sulla diversità culturale, sia nella produzione che nella distribuzione. E’ di vitale importanza – ha continuato McVay – che ripensino il loro approccio e comincino a lavorare braccio a braccio con l’industria e i governi degli Stati membri per assicurare che i cambiamenti non finiscano per peggiorare la situazione dei consumatori”.

Se sul geoblocking si registrano contrasti e ferme opposizioni, quello su cui tutti gli operatori europei sono d’accordo è invece chiedere che i nuovi player dello streaming vengano sottoposti alle stesse regole di broadcaster e piattaforme on demand originarie dell’Unione Europa. La parola d’ordine in questo campo è level playing field, cioè la creazione di un terreno di gioco unitario dal punto di vista normativo, in cui l’online non aggiri le regole imposte da anni dalle direttive europee ai media tradizionali, come l’obbligo di programmazione di prodotto europeo e di rinvestimento in produzione indipendente, tutela dei minori e più in generale dei consumatori. Anche di questo tema si sta parlando alla kermesse in corso sulla Croisette, dove il commissario europeo per il Mercato Unico Digitale Andrus Ansip ha confermato che l’organo UE starebbe lavorando per imporre a servizi come Netflix una quota del 20% da riservare a film e serie tv europee. Non si tratta però di qualcosa di imminente, poiché la cifra precisa deve essere concordata da tutti i 28 commissari e poi passare anche per l’approvazione di Parlamento e Consiglio Europeo. Ansip ha anche assicurato che nella revisione della Direttiva sui Servizi di Media Audiovisivi, attesa per il prossimo autunno, verrà rispettato il principio di territorialità, ferma restando la necessità di garantire almeno la portabilità dei contenuti digitali, cioè il diritto a non perdere l’accesso ai servizi per cui si è già pagato nei Paesi d’Origine, quando ci si sposta all’estero in un altro degli Stati UE.

 

Fonte: Key4Biz, Digital TV Europe

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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