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Ad Blocking: in Italia è al 25% – Il White Paper di Iab

Ecco come gli editori di tutto il mondo stanno rispondendo alla minaccia che erode la raccolta pubblicitaria e mette a rischio il modello dei contenuti ad-supported.

Ormai è diventato un grattacapo per gli editori online di tutto il mondo: l’Ad Blocking, cioè la pratica di disattivare tutti gli annunci pubblicitari su desktop o mobile attraverso app o software dedicati, è ormai diffusa presso 198 milioni di utenti nel mondo, con un crescita del 41% anno su anno. A rivelarlo sono i dati contenuti nel White Paper elaborato dal ramo italiano di IAB (Interactive Advertising Bureau) per mettere in luce l’urgenza di un fenomeno ovviamente dannoso per per tutti quei soggetti che vivono degli introiti pubblicitari sul web. Gli Ad Blocker, i programmi che inibiscono appunto  l’arrivo delle inserzioni sullo schermo degli utenti, tendono a colpire di default ogni tipo di formato su qualsiasi tipo di sito: starebbe agli utenti l’accortezza di impostare i filtri in modo da non bloccare in modo indiscriminato anche quegli annunci magari meno invasivi che però determinano la sopravvivenza dei siti visitati.

IAB ad blocking

In Italia ricorrerebbe a tali sistemi di bloccaggio oltre un quarto degli utenti, secondo due distinte ricerche. Quella condotta a ottobre 2015 da GroupM sulla popolazione online di oltre 18 anni, parla di un 25% dei naviganti intenti a bloccare l’advertising per migliorare la performance e di conseguenza la velocità di caricamento delle pagine web e per assicurarsi una maggiore tutela della privacy. Secondo il sondaggio effettuato su mille utenti italiani dai 15 anni in su, Human Highway ha invece riscontrato un uso dell’Ad Blocking diffuso tra il 30,6% degli utenti desktop, in particolare sui browser Chrome e Firefox.

iab ad blocking motivi

La difficoltà per gli editori è che nella maggior parte dei casi si tratta di servizi gratuiti che al limite danno la possibilità ai loro utenti di effettuare delle donazioni, ma non obbligatorie.  AdBlock Plus e simili hanno adirittura dato vita a un “Acceptable Ads Manifesto”, sorta di decalogo che consente ai siti aderenti di uscire dal blocco automatico, ma attenzione: solo a quelli di piccole dimensioni. I medi e grandi editori devono infatti pagare per essere inclusi nelle eccezioni.

Come uscire da questo ganglio che, secondo IAB, limitando le risorse di fatto limita la libertà editoriale? La prima mossa sono state delle linee guida, diffuse a livello internazionale, per assicurare innanzitutto la diffusione di buone pratiche in materia di advertising. Il fenomeno infatti nasce da un’esigenza reale degli internauti, cioè quella di snellire le pagine per migliorare la navigazione e in qualche caso difendere la propria privacy. In secondo luogo, però, i laboratori dell’associazione hanno sviluppato un un software che consente agli editori di individuare gli utenti che hanno installato un Ad blocker sui propri dispositivi. Molti sono gli editori nel mondo che hanno cominciato ad adottare schermate automatiche in cui si chiede ai lettori di testate come il Guardian e Forbes di preservare il servizio di cui si sta usufruendo, disattivando il blocco per quel sito. C’è anche chi, come GQ, ha adottato invece un approccio “strong”, che obbliga a disattivare il blocker o alternativamente a sottoscrivere un abbonamento per continuare a leggere l’articolo  desiderato.

Considerando che gli Ad blocker possono funzionare anche sui pre-roll video, è evidente come la questione rimarrà di primissimo piano negli sviluppi di tutta l’editoria ad-supported sul web. QUI il testo completo del White Paper.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it

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