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Festival di Roma: il VOD non annullerà i vecchi media

Opportunità e sfide dell’online, day-and-date, le strategie demand driven che dovrebbero essere alla base dei nuovi modelli di business: ecco alcuni dei temi al centro della Conferenza Internazionale dell’Audiovisivo, organizzata dal Mibact in occasione del Festival di Roma.

Il settore del cinema e della tv si trova a un crocevia, imposto dall’evoluzione tecnologica e dall’emergere di nuove forze di mercato che trovano la loro base online piuttosto che nei canali distributivi tradizionali. Il fenomeno non è nuovo ma sembra comunque importante che a prenderne atto sia un’istituzione come il Mibact (Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo), promotore di una Conferenza internazionale dell’audiovisivo incentrata su questi temi e ospitata ieri e oggi dal Festival Internazionale del Film di Roma.

TV VOD vs VOD in the EU

Un’occasione per scrutare da una prospettiva europea la crescita del video on demand, l’arrivo in molti Stati UE dei nuovi player americani come Netflix, o il consolidamento di altre piattaforme quali Amazon Prime, già LoveFilm in Regno Unito e Germania. Il tutto in un quadro che vede il Vecchio Continente cedere il passo in termini di competitività. Come ha illustrato André Lange, dell’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo, la quota europea del mercato audiovisivo mondiale ha ceduto di oltre il 5% dal 2009 al 2013, passando dal 20,7 al 15,5%: colpa in parte dell’andamento delle pay tv e della flessione generale degli investimenti pubblicitari, ma anche dell’avanzata delle big dell’online come Apple, Amazon e YouTube, capace di mettere in crisi molte grandi catene legate al retail. Nonostante il volume dei ricavi sia nettamente inferiore rispetto a quello dell’on demand televisivo, la fruizione di cinema e tv online sta conoscendo uno sviluppo rapido e significativo, soprattutto grazie alla formula ad abbonamento. Le entrate del subscription video on demand (SVOD) digitale, tra il 2010 e il 2012 ha avuto un incremento medio annuo di oltre il 100%, mentre la pay-tv, seppur in positivo, ha registrato tassi di crescita prossimi allo zero.

La situazione pone ai regolatori europei nuove sfide normative, ma soprattutto impone agli operatori già esistenti sul mercato uno sforzo di competitività. Anche il modello del TVOD (transactional video on demand, basato sul noleggio o l’acquisto di singoli titoli) potrebbe essere spinto a rispondere alla crescita dello SVOD con nuove formule, e Lange si chiede se perfino un colosso come iTunes non debba aprirsi a soluzioni ibride. Altre questioni aperte sono il ruolo che spetterà nel nuovo ecosistema dei consumi audiovisivi alle smart tv e ai videogame, nonché se ci sia lo spazio, e quale sia la sua entità, per operatori più piccoli, specializzati nell’offerta nazionale ed europea. Senza contare il ruolo dei dei nuovi servizi nel finanziamento del comparto produttivo, ruolo che per gli operatori tradizionali è regolato in modo molto preciso dalla normativa europea.

Interessante il punto di vista a proposito dell’esperto di media Michael Gubbins, che ha parlato di strategie “guidate dalla domanda”, dove l’on demand non è da considerare come una minaccia o una sfida ma, appunto, come un modo diverso, più diretto anche se talvolta inconsapevole, con cui i consumatori di audiovisivo 2.0 esprimono le proprie esigenze:

“Cioè che succede è molto semplice , le persone stanno cambiando il come, il dove, il quando e a volte anche il perché guardano film e serie televisive, e le industrie cercano di capire come inserirsi nel processo. Tutti parlano del pubblico e di come intercettarlo ma non riescono a farlo perché rimangono a guardare gli idoli del passato”.

Il box office, ad esempio, è una risposta che non dà un feedback circolare su come migliorare il prodotto, ed ecco che a fronte di un’offerta sempre più vasta e in  teoria differenziata, ci si trova difronte un pubblico “che fa scelte conservative”, con i primi film del box office che fanno la maggior parte dei biglietti e sono per la maggior parte sequel, adattamenti e remake. Oltre a questa tendenza, le produzioni europee, che hanno perso il 7,5% dal 2009-2013, devono affrontare la competizione con altre forme di intrattenimento, che non sono solo i film online on demand ma anche i giochi, il costo dei babysitter ecc. La domanda, insomma, per Gubbins è “Come ci facciamo a farci notare?”, e la risposta potrebbe venire proprio dai nuovi colossi del web:

“Netflix, Amazon, iTunes ci conoscono benissimo, sanno quello che vogliono i clienti perché capiscono i dati. Amazon mi fa regali più belli di mia moglie. Possiamo portare Netflix a pagare per produrre i nostri contenuti ma dovremmo preoccuparci di più che  qualcuno li veda effettivamente. Non si può pensare alla diversificazione dell’offerta senza partire da quella della domanda, altrimenti si continueranno a produrre contenuti che apprezzeranno solo pubblici colti, ricchi e di nicchia, alle spese di chi non ha denaro da spendere per quel tipo di prodotto e probabilmente non lo vedrà”.

In un tale contesto, creare l’awareness vero il prodotto è essenziale, anche attraverso forme di crowsourcing, non per forza a livello finanziario, ma anche con iniziative volte a  creare la comunità intorno ai film:

“La musica lo sta già facendo, ormai la produzione discografica non è più tanto registrare un disco ma creare una fan base. Al cinema ci è riuscita l’opera lirica, con le stagioni concertistiche trasmesse nelle sale delle piccole città che non hanno un teatro. Quello è un business model, costruito su un chiaro gruppo di interesse. Ma lo stesso può fare un genere come lo sci-fi, offrendo sneak peeks e previews, o comunque svolgendo attività di coinvolgimento parallele alla produzione che e non impattano sul processo creativo. Ken Loach, con il suo documentario Spirit of  ’45, riconoscendo la sua natura di film politico,  ha creato un sito e svolto dibattiti in diverse località prima ancora di cominciarne la lavorazione”.

Fondamentale è anche la capacità di diventare un business transmediale, come il calcio, che espande la sua influenza su tutti i canali del web. Infine, secondo Gubbins, può ancora dare frutti il premium video ond emand, con release day-and-date a un prezzo maggiorato, non solo dunque per i prodotti d’autore e di nicchia, ma anche  per i titoli di maggior richiamo.

E a proposito di day-and-date, Thomas Paris ha presentato i risultati della sperimentazione portata avanti a livello comunitario su vantaggi e svantaggi di far uscire un particolare tipo di prodotto europeo contemporaneamente in sala e sul web. Oggetto del test sono stati 9 film, che normalmente non avrebbero trovato grande spazio nel circuito tradizionale e con ristretta visibilità. Il risultato è stato considerato soddisfacente: l’annullamento della finestra ha accresciuto la disponibilità dei film nei territori di distribuzione, a volte perfino del 100%. Le transazioni digitali hanno portato fino a un +20% di spettatori , razionalizzando anche gli sforzi promozionali, con investimenti concnetrati su un’unica data. La maggior parte delle transazioni, inoltre, è  avvenuta in aree geografiche  dove i film non hanno raggiunto affatto le sale, solo il 4-8% ha avuto luogo nelle zone coperte dalla distribuzione tradizionale. Non c’è stata dunque cannibalizzazione ma, al contrario, il day-and-date ha dato ossigeno a titoli che non riescono ad avere una circolazione particolarmente estesa. I nuovi media dunque non come una minaccia ma come un’opportunità che sta agli operatori tradizionali cogliere in modo da non farsi sorpassare dai nuovi player del mercato e dalle loro dimensioni globali.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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