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Conferenza nazionale del cinema: on demand e sale, un’alleanza possibile?

Dai diritti d’antenna ai difficili rapporti dei produttori con i broadcaster, passando per la crisi dell’esercizio e la questione delle finestre VOD. Nel tavolo di lavoro convocato dal MiBACT, i nodi cruciali per lo sviluppo del mercato cinematografico, sospeso tra vecchie criticità e la spinta all’innovazione derivante dal digitale e nuovi modelli di fruizione del prodotto audiovisivo.

Dopo i forti cali registrati nel 2012 e un 2013 risollevato per di più dalla performance d’eccezione dell’ultimo film di Checco Zalone, è chiaro come il mercato italiano del cinema continui a essere condizionato da nodi strutturali che rischiano di essere ancora più intricati, anziché sciolti, dalle evoluzioni in corso nel settore. Il passaggio al digitale, le difficoltà dell’esercizio e lo sviluppo di nuovi modelli di consumo come il video on demand sono stati in particolare al centro di uno dei tavoli tematici organizzati nell’ambito della Conferenza nazionale del cinema, convocata dal Ministro dei beni delle attività culturali e del turismo, Massimo Bray, e ospitata ieri dal Centro Sperimentale di Cinematografia. Un’occasione di confronto aperta a tutti gli operatori e agli “stakeholder” del settore, che si è articolata intorno a tre punti focali fondamentali come «Cinema: industria culturale», «Struttura, operatori del mercato e nuovi modelli di distribuzione e fruizione», e «Le politiche pubbliche».  Qui vi proponiamo un resoconto di quanto emerso intorno al secondo tema, nel corso di un dibattito moderato dal DG Cinema del MiBACT, Nicola Borrelli, e dalla produttrice cinematografica Francesca Cima.

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Al centro dei tanti interventi che si sono susseguiti nel corso del giornata, una constatazione di fatto: nonostante l’aggiornamento tecnologico e le migliorie apportate nel settore dell’esercizio, nonostante la progressiva ripresa della quota di mercato dei film italiani e nonostante il nuovo assetto del sostegno pubblico, dalla liberalizzazione delle sale avvenuta a metà anni ’90 il mercato italiano del cinema non sembra aver subito sostanziali evoluzioni, rimanendo ancorato a 100 milioni di biglietti venduti all’anno e a oscillazioni da considerarsi prevalentemente congiunturali.

“Quando il film di Zalone determina un +2% non solo al box office mensile, ma su tutto l’anno, dimostra che non siamo un mercato solido, bensì influenzato da eventi occasionali – ha detto il presidente degli esercenti ANEC, Lionello CerriUn mercato che non si sviluppa anche a causa di leggi che hanno consentito solo l’apertura di sale dove l’offerta era già presente, non dove c’era la desertificazione. Ancora oggi la competizione è tra il piccolo e il grande esercizio, e a essere avvantaggiato rimane chi ha più schermi e può diversificare l’offerta”

A fargli eco, Fulvio Lucisano, patron di Italian International Film (IIF): “Su 150 film prodotti all’anno in Italia, quanti riescono a uscire nelle sale? Non escono anche perché le distribuzioni non hanno la certezza di ottenere un passaggio televisivo, perché le emittenti preferiscono non programmare cinema e stanno facendo blocco contro i film. Non solo quelli italiani ma contro i film in generale. Una soluzione potrebbe essere un obbligo di programmazione in tv in base agli incassi”.

Giovanni Costantino alla guida del progetto Distribuzione Indipendente, operatore che già nel nome rifugge dai circuiti tradizionali per puntare invece su una rete fatta di cinecircoli e cineclub, ovviamente individua nel suo campo il principale collo di bottiglia del settore: “La politica culturale pensa a una distribuzione cinematografica come quella degli anni ‘70, solo che oggi i canali sono sempre meno e siamo sotto 4 o 5 operatori che comandano mentre tutti gli altri restano tagliati fuori”. Esempio di tale miopia, secondo Costantino, è anche uno dei principali meccanismi utilizzati per la transizione al digitale, cioè il vpf, impossibile da praticare non solo per le piccole sale ma anche per le piccole distribuzioni, prive dei fondi necessari per contribuire all’acquisto della nuova dotazione tecnologica da parte degli esercenti.

Il produttore Nicola Giuliano invece non ha dubbi sul rischio principale del settore, cioè quello di rimanere senza contenuti a causa non solo della crescente difficoltà nel reperire risorse, ma anche di rapportarsi con le emittenti: “Il problema è la titolarità dei diritti. L’unico modo che un produttore ha di guadagnare è sul budget, perché al momento che un film incassi 3 o 6 milioni per chi lo realizza non fa nessuna differenza. Qui sta l’anomalia, nel non avere un modo razionale di determinare il prezzo del mio prodotto quando lo vendo ai broadcaster. E dove vigono l’arbitrio e la discrezionalità non c’è mercato”.

Le rigidità nel sistema distributivo sono perciò emerse subito quale criticità strutturale, insieme agli ostacoli incontrati dai produttori  non solo nel trattare i diritti d’antenna, ma anche nel mantenere la titolarità dei diritti secondari, non da ultimo quel diritto VOD che si candida a diventare sempre più centrale, soprattutto nell’ottica di un nuovo assetto dei rapporti tra esercizio e fruizione legale online. Se, da un lato, gli operatori che offrono film “su richiesta” reclamano il contributo che possono dare in termini di ritorni economici alla filiera, dall’altra i produttori, ancor prima delle sale, non nascondo i propri scetticismi sulla capacità di questo nuovo comparto del mercato di compensare gli ammanchi riconducibili a vecchie anomalie, a partire appunto dall’oligopolio televisivo.

“La sala ormai è di nicchia – provoca ad esempio Daniela Girfatti, partner della piattaforma di video on demand Own Air – Anche il fenomeno Zalone conferma come sia un luogo dove viene trasportato un prodotto prevalentemente televisivo. Ma ha ancora una potenzialità enorme se accanto alla sala fisica consideriamo quella virtuale. Una sala sempre raggiungibile, 24 ore su 24, anche per chi ha problemi a spostarsi e anche nel periodo estivo. Una sala dove può passare tutta l’offerta, compresi documentari e cortometraggi. Vorrei che i download su Own Air fossero equiparati al biglietto staccato in sala, ecco perché è necessario chiudere le finestre che fanno perdere tempi fondamentali, sia per evitare la pirateria sia per mettere a frutto gli investimenti fatti in comunicazione. Più il prodotto circola e più vive”.

Stefano Parisi, presidente della piattaforma Chili Tv, ha pure esaltato il ruolo che il VOD può giocare nel recuperare fasce di pubblico lontane dalla sala, oltre che la possibilità di contribuire alla formazione degli spettatori e alla valorizzazione delle library attraverso i motori di raccomandazione utilizzati dai portali per dare suggerimenti ai propri utenti. Sui rapporti con i player del settore cinema Parisi sottolinea: “Abbiamo film di tutte le distribuzioni, tranne Medusa, con importanti minimi garantiti, che sosteniamo perché pensiamo che il mercato crescerà. Crescerà fino a portare risorse che consentiranno investimenti in produzione, come successo negli USA. Ci sono nuovi modelli che si stanno affermando e tutto ciò che serve a rompere lo schema ci aiuterà a recuperare fasce di spettatori”. Perché ciò avvenga, tuttavia, è necessario che non ci siano distorsioni di partenza, come le esclusive – “impediscono lo sviluppo di un settore che muove i primi passi” – o gli ostacoli di tipo burocratico, ad esempio la necessità per gli utenti di inserire il proprio codice fiscale per procedere al pagamento dei contenuti, passaggio assolutamente inesistente per chi acquista un film in copia fisica. “Se i broadcaster entrano nel VOD con le loro piattaforme rischiano di chiudere il mercato completamente – ha aggiunto anche ParisiPer ampliarlo bisogna assicurare che i contenuti abbiano la massima distribuzione possibile”.

Piuttosto deciso sui vantaggi del VOD per l’industria cinematografica anche Piero De Chiara, responsabile della programmazione di un’altra importante piattaforma quale Cubovision, che ha lanciato una sorta di monito agli operatori della settima arte:

“Una grossa fetta dei vostri ricavi verrà dalle reti di comunicazione.  La sala può riprendere ma non più di tanto, gli spettatori di film in televisione producono per ogni atto di visione una cifra che si aggira sui 5 centesimi, perché  quello è il valore della pubblicità. Il tempo medio speso davanti al piccolo schermo è di 4 ore al giorno, di cui solo il 5% è dedicato ai film, ed  è così dai tempi in cui c’era solo la Rai. Quindi al cinema andrà sempre non più del 5% degli introiti televisivi, e si potrà combattere per avere più o meno dal canone. La tv a pagamento lineare è trainata da calcio, di cui non può fare a meno, e si ripaga dei costi sostenuti su altri prodotti. Ecco perché l’on demand è il settore che in proporzione fornirà più ricavi per ogni atto di visione. Per ora il consumo è di 10/15 ore al mese, ma per ogni film fruito alla filiera  arriva 1 euro o poco più, cifra su cui per altro si può discutere. Negli Stati Uniti l’abbonamento a servizi on demand è diventato una fonte di finanziamento importante del cinema: il leader del comparto, Netflix, ha investito 2 miliardi di dollari in contenuti, e in Italia ci sono almeno 600 milioni di euro in più da immettere nel mercato grazie a questa possibilità tecnologica, di cui una porzione rilevante andrebbe al solo cinema italiano”.

Ci sono due cose a cui bisogna fare attenzione, aggiunge tuttavia De Chiara, affinché queste somme possano diventare effettive:

“Il primo rischio sono gli abusi di posizione dominante. Se Sky chiede ai distributori di non rendere disponibili per il noleggio i film su Chili o Cubovision, sta sottraendo risorse al mercato, perché impedisce a un non-abbonato di fruire di quel film. Soprattutto quando è in corso la battaglia per le finestre di sfruttamento televisivo. Alla finestra “first pay” ora si è aggiunto un secondo passaggio pay prima che il film arrivi sulla tv in chiaro. Un passaggio molto prezioso, ma che altri grossi player che vorrebbero schiacciare. Il secondo problema è invece la connessione delle tv alla Rete, una possibilità di cui gli utenti spesso non sono consapevoli, perché se lo sapessero in pratica avremmo una biglietteria in ogni casa”.

Da non sottovalutare neppure la questione delle window previste per il passaggio dei film in sala, che tutti gli operatori VOD vorrebbero ridurre fino a ipotizzare un utilizzo sempre più regolare anche del day-and-date, cioè dell’uscita contemporanea dei titoli sul grande schermo e online. Ipotesi già messa in atto da Own Air, dichiaratamente senza alcun danno per gli esercenti, e per cui De Chiara propone di avviare una vera e propria sperimentazione, in accordo con gli altri anelli della filiera.

Cerri, da parte sua, vede la possibilità di un confronto ma a patto che si tenga conto che “ci sono rendite di posizione su cui lo Stato deve agire. C’è la rendita delle distribuzioni, di alcune situazioni dell’esercizio e anche di alcuni produttori. La valorizzazione del prodotto è fatta sempre dalla sale, che stanno scomparendo ma vengono utilizzate da tutti, anche dalle nuove modalità di sfruttamento”.

Una via percorribile, emersa dall’incontro, è perciò anche quella di un filo diretto tra produttori, esercenti e operatori di video on demand, che permetterebbe di scuotere le rigidità strutturali della filiera, con un nuovo modello meno condizionato dai broadcaster e da un comparto distributivo fortemente accentrato nelle mani di pochi player. Il tutto però a patto che si riesca a sganciare il diritto VOD dai tradizionali diritti d’antenna e quindi dalla sfera di influenza delle tv, che continua a condizionare inequivocabilmente  e pesantemente l’intera industria cinematografica.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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