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Il mercato e l’industria del cinema in Italia: il rapporto 2011 della Fondazione Ente dello Spettacolo.

Aumenta il prodotto ma calano il box office e l’home video, per la prima volta sotto il mezzo miliardo di fatturato. Per il presidente dell’Anica, Riccardo Tozzi, inizia un nuovo ciclo, che richiede il rinnovamento di tutta la filiera, dalla produzione all’esercizio e al ruolo delle tv.

Una produzione ai massimi storici dagli anni ’60, nonostante una performance al botteghino leggermente al di sotto delle attese. Questo uno dei nodi centrali affrontati nella IV edizione del rapporto Il Mercato e l’industria del cinema in Italia, edito dalla Fondazione Ente dello Spettacolo e realizzato in collaborazione con Cinecittà Luce e Anica. I dati sono coerenti con quelli già rilasciati da Cinetel e dalla stessa Associazione delle industrie cinematografiche riguardo all’anno 2011, e parlano di 155 film prodotti, di cui 132 a capitale interamente italiano e 84 con fondi esclusivamente privati. Questo, secondo il presidente della Fondazione EdS, Dario Edoardo Viganò, è il vero risultato conseguito dal settore, che ha visto un impiego record di risorse non statali mobilitate a fronte della crisi (333 milioni di euro, pari all’88,8% dei capitali investiti a livello totale) e del continuo assottigliarsi del FUS. Il Fondo Unico per lo Spettacolo del ministero per i Beni e le Attività Culturali, vale infatti ormai per appena il 7,1% delle risorse totali, anche se compensato dagli incentivi fiscali alla produzione, dell’ammontare di circa 75 milioni euro. Importante anche il “trend anticiclico di stabilità occupazionale” dimostrato dal settore cinema, che conta per oltre il 50% dei nuovi posti di lavoro creati a partire dal 2007 dall’intero mercato dello spettacolo. Rilevanti inoltre le perdite di fatturato delle holding straniere (601,8 milioni di euro registrati nel 2010, in calo di 18,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente) e la leadership mantenuta dal gruppo Rai e Mediaset sull’intera filiera del cinema. Particolarmente in difficoltà il mercato dell’home video, in perdita per il quinto anno consecutivo e per la prima volta sotto la cifra complessiva del mezzo miliardo di euro.

“Il rapporto – ha commentato il presidente dell’Anica Riccardo Tozzi – è un ottimo strumento per capire dove siamo arrivati, e da dove siamo partiti”, cioè da quei 10-11 milioni di biglietti staccati a fine anni ’90 e quasi quadruplicati nel giro di circa 10 anni. I risultati in forte ribasso del 2012 (si parla a oggi di un calo di circa il 15% nelle presenze) inaugurano tuttavia una nuova tendenza, che secondo Tozzi, Non è affatto da considerarsi congiunturale:

“Dobbiamo attivare la stessa modernizzazione di cui siamo stati capaci alla fine degli anni ’90. Vale a dire cambiare il modo di fare prodotto avvicinandoci al pubblico, cambiare le sale, il rapporto con il finanziamento pubblico e il marketing e rafforzare le nostre imprese”.

Le criticità principali, sono quelle che si stanno delineando sempre con maggior chiarezza negli ultimi mesi:

“Dal punto di vista delle sale, abbiamo un circuito squilibrato con un problema di sottodimensionamento e logoramento nei centri urbani, dove è necessaria una modernizzazione, ma non un’omologazione ai multiplex periferici, fosse solo perché il problema è più complesso. Nei centri urbani c’è una serie di problematiche da affrontare a livello locale. C’è poi un problema di distribuzione, con il ritorno di un segno di arretratezza culturale come la mancanza di nuovi film in estate.  Quest’anno spariremo per 2-3 mesi, e questo è un atteggiamento suicida. C’è poi il rapporto con la rete, il che significa pirateria ma anche il bisogno di industrializzare l’offerta legale, fronte su cui siamo molto indietro, anche in termini di banda. Il che finora forse ci ha protetto, ma bisogna intervenire”.

C’è infine il tema piuttosto caldo del rapporto con le televisioni, portato all’attenzione con forza dallo stesso Tozzi all’ultimo festival di Cannes, in relazione ai dubbi sul rispetto delle quote di investimento di Mediaset: “Mi dicono di far meglio i conti – ha commentato il presidente Anicama i conti li rifaccio e continuano a non tornarmi. Anche in merito alla Rai, dove il livello di investimento è salvaguardato, ancora non si riescono a vedere i nostri film in tv”.

Per quanto riguarda strettamente il prodotto, infine, secondo Tozzi c’è un grande tema, vale a dire quel “cinema dell’umano, di cui i francesi si sono presi un pezzo che doveva essere nostro. Noi invece, viviamo la contraddizione di un cinema d’autore sempre più austero, e uno popolare al contrario fin troppo facile. La sfida è rimetterli insieme, oltre a riscoprire quel grande campo del genere, che dobbiamo tornare a frequentare e che ci aprirebbe all’internazionale. Il nostro cinema, come tutto il Paese, deve tornare a esprimere vitalità”.

Chiamato indirettamente in causa dall’intervento di Tozzi, l’AD di Medusa, Giampaolo Letta, ha ribadito le difficoltà in cui verte il gruppo Mediaset a causa del calo degli introiti pubblicitari, ma anche la volontà di limitare le conseguenze per quanto riguarda l’investimento nella produzione cinematografica: “Dobbiamo trovare un’intesa con agenti, attori, registi e tutti gli altri comparti per contenere i costi di produzione, e continuare a fare lo stesso numero di film con meno risorse. Il problema però non sono solo i compensi dei talents: pensate che a Roma non si può girare il sabato. Su una produzione di 6-7 settimane, questo vuol dire che una va persa”.

Le produzioni non sono certo le uniche ad avere un problema con gli Enti locali: anche secondo il presidente Anec, Lionello Cerri, il rapporto con le Regioni sarà uno dei terreni più importanti su cui si dovrà muovere l’esercizio, oltre che l’allungamento della stagione cinematografica e un impegno nella formazione per far sì che i giovani tornino a conoscere e apprezzare il cinema. “Le Regioni sono attive soprattutto sul fronte della produzione, e al limite su quello della digitalizzazione delle sale, ma non basta” spiega Cerri “per rilanciare la sala quale luogo di aggregazione sociale”.

Digitalizzazione è tuttavia un’altra delle parole chiave del rapporto, in particolare della sezione curata da MEDIASalles, che mette in luce il grande ritardo degli schermi italiani nella conversione alla nuova tecnologia. Su 4000 sale, a essere digitalizzate sono circa 1600, pari al 38-39% del totale, a fronte dal 72% registrato da Paesi come l’Inghilterra, o il circa 50% di Russia e Germania. La maggior parte della percentuale italiana, inoltre, è composta da multiplex, che hanno raggiunto il 70% degli schermi convertiti, mentre per le sale urbane la quota si aggira ancora intorno a 20 punti percentuali. Una buona notizia in tal senso è venuta però dal Direttore Generale Cinema del ministero per i Beni e le Attività Culturali, Nicola Borrelli, che ha annunciato la probabile prossima approvazione di una modifica all’attuale normativa sugli incentivi fiscali alla digitalizzazione delle sale, che introdurrà la cedibilità del credito d’imposta: misura necessaria al fine di consentirne l’utilizzo da parte delle piccole sale, prive di entrate tali da poter usufruire in via diretta degli sgravi.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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