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Il mercato del cinema in Italia nel 2011 – Intervista a Riccardo Tozzi.

In occasione del bilancio dell’anno passato, abbiamo chiesto al presidente Anica di commentare i risultati del 2011 e il calo registrato nel primo trimestre 2012, in particolare le criticità legate a esercizio e produzione.

Se il box office italiano 2011 si è chiuso con un calo complessivo di incassi e presenze, i dati Anica confermano l’exploit della quota di prodotto nazionale, che ha fatto registrare alla nostra “fetta” di mercato cifre precedute dal segno “più” su tutti i fronti. Il trend però non si è dimostrato altrettanto positivo per questo inizio 2012, in cui le perdite registrate al botteghino si sono riflesse anche sui film italiani, per quanto in maniera più contenuta. In mancanza di successi clamorosi come quello di Checco Zalone dell’anno scorso, la percentuale di prodotto nazionale ha dunque subito una drastica riduzione rispetto al primo trimestre 2011, ma in linea rispetto alla media di fine anno, pari a circa 38 punti percentuali. Abbiamo chiesto un parere sulle principali criticità emerse dai dati sull’andamento del mercato nel 2011 a Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica – l’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali – e produttore di Cattleya.

 

 

Riccardo Tozzi, oltre alla crisi economica globale, quali possono essere le cause della flessione registrata in questo inizio anno?

I problemi sono vari. Per quanto riguarda la frequentazione delle sale, di sicuro il nostro circuito non è ancora pienamente sviluppato. Ci sono delle zone meno servite e la questione delle sale urbane, poi un fenomeno molto inquietante che si sta dispiegando in questi ultimi tempi, vale a dire la scomparsa dei giovani dalla sala. Probabilmente risentono della crisi economica più di altri pubblici, ma certamente la pirateria ha creato una cultura per cui per i giovani, il film, è qualcosa che si vede sul computer in maniera gratuita. Questo è forse il problema più urgente che dobbiamo affrontare sul fronte delle sale: vanno protette dalla pirateria.

Non sono stati però ancora presentati dati su questo decremento dei giovani.

È un fenomeno che va ancora studiato, ma lo segnalano in modo unanime tutti gli esercenti. E gli esercenti sono quelli che il pubblico lo possono “guardare in faccia”, per cui siamo certi del calo: pochi spettatori sotto i 30 anni, pochissimi sotto i 25 e sotto i 20 quasi più nessuno.

Per il 2012 siete ottimisti? Pensate che si possa tornare sulle cifre dell’anno scorso?

Il nostro obiettivo è restare sulle cifre del 2011 e pensiamo di poterci riuscire. Ciononostante, non siamo ottimisti, perché questo vuol dire che avremo smesso di crescere. Nella migliore delle ipotesi rimarremo fermi.

Un dato interessante è la performance del cinema italiano al Sud, dove ha una quota maggiore rispetto al Centro o al Nord.

A nostro parere, un’interpretazione ragionevole è che nel Sud ci sono più sale urbane e meno multiplex. Dato che il cinema italiano è più adatto a un pubblico adulto e appunto urbano, dove ci sono più sale di città questo tipo di prodotto va meglio. I multiplex invece sono fatti soprattutto per la frequentazione giovanile, per cui dove prevalgono tali strutture, i film italiani non ottengono gli stessi risultati perché non trovano il loro pubblico.

L’inizio 2012 ha visto però l’esplosione del fenomeno del film francese Quasi Amici, che ha avuto più successo di altre commedie italiane uscite nello stesso periodo. Come mai?

Qui entriamo nel campo del soggettivo e dei gusti. Personalmente credo sia quel tipo di cinema che noi abbiamo fatto, negli anni passati, ed è stato anche alla base della rinascita del cinema italiano. Penso a film come Pane e Tulipani, o come quelli di Ozpetek e Muccino. Sono film di qualità che però “parlano” molto col pubblico, con grande umanità ma anche con un po’ di leggerezza. Sono film che noi non facciamo più, e il successo di questo titolo francese ci dimostra che invece sono proprio quelli che dobbiamo tornare a fare.

Quindi non ci sono solo problemi legati all’esercizio, ma anche al prodotto. Quali sono secondo lei, in estrema sintesi, le principali criticità del mercato italiano del cinema?

Parlando di produzione, sicuramente dobbiamo ricominciare a pensare ai nostri modelli di prodotto. Quelli che abbiamo lanciato alla fine degli anni ’90, e sviluppato nel corso degli anni duemila, sono andati benissimo, però questo è un mestiere in cui non si vive di rendita. Probabilmente quei modelli sono superati, per cui dobbiamo cercare di rinnovarci e non cercare sempre di fare la terza, quarta o decima versione dello stesso film. Poi, ripeto, c’è un grande problema di distribuzione delle sale sul territorio, mentre la pirateria è una malattia nazionale e bisogna fare qualcosa. La politica è insensibile sull’argomento perché preferisce la piccola contabilità demagogica ed elettorale a un grande tema di difesa del patrimonio culturale del Paese. Ci sono infine problemi relativi alle risorse e qui penso in primo luogo a quelle televisive. Bisogna impedire che la crisi che stanno attraversando le televisioni si rifletta sul cinema, anche perché ci sono delle leggi precise. Per cui bisogna agire a difesa delle leggi che a loro volta difendono gli investimenti delle emittenti nel settore cinematografico.

A proposito di televisioni, ci sono produttori che lamentano anche le difficoltà ad accedere alle risorse provenienti da quel settore a causa dell’anomalia che da sempre caratterizza il nostro mercato. E questo a prescindere dal rispetto delle quote d’investimento fissate a livello normativo.

Sì, non è importante solo quanto le televisioni danno ma “come” lo danno. Bisogna fare in modo che l’Italia non sia più così lontana dagli altri Paesi europei, dove le televisioni oltre ad avere degli obblighi di investimento, devono anche investire in un certo modo, cioè in primo luogo pagando dei prezzi sensati per i diritti che utilizzano e non sostituendosi al produttore, come invece può avvenire a volte.

Sembra inoltre che il 3D non stia rendendo proprio quanto sperato, tanto che molti esercenti constatano un maggiore afflusso di pubblico verso le proiezioni in 2D. Anche se ultimamente abbiamo assistito al successo della conversione di Titanic in tre dimensioni. [sul tema, vi rimandiamo a questo articolo di Mereghetti sul Corriere della Sera ]

Noi lo stiamo dicendo da più di un anno, ma in realtà questa tendenza si è vista da subito. L’anno di Avatar, è stato il primo in cui il cinema americano, in Italia, ha cominciato a perdere ingressi, mentre in quell’anno il cinema italiano ha visto il suo avanzamento. Noi abbiamo un pubblico piuttosto adulto, francamente infastidito dal 3D, quello dei bambini non lo gradisce sempre, mentre il target del 3D, cioè i giovani che cercano al cinema il videogame, non solo è scarso dal punto di vista demografico, ma è anche eroso dalla pirateria. Quelli veramente interessati al 3D sono pochi.

Eppure, la conversione al digitale delle sale ha ricevuto una forte spinta proprio dalle prospettive di incasso aperte dal 3D.

Questo è uno dei problemi dell’esercizio italiano, concepito con un pensiero che ipotizzava la dominanza del cinema americano, mentre si è scontrato con una realtà opposta. 10 anni fa quando qualcuno sosteneva che in Italia la variabile decisiva sarebbe stato il cinema italiano, era considerato uno stravagante. Adesso ci troviamo tutti con il problema di un circuito squilibrato.

Quanto incidono in questo quadro le politiche distributive?

Sicuramente in questo momento la distribuzione in generale, e quella di film italiani in particolare, è inefficiente. Non perché siano inefficienti i distributori, ma in primo luogo per il problema della stagionalità. Questo riguarda però anche i produttori: sono io il primo a non dare un film italiano al distributore dopo aprile. Però siccome perseguiamo tutti questa illuminata politica, in pratica tutti i film italiani importanti esconopiù o meno da fine ottobre a fine marzo, tranne i pochi che vanno a Cannes. Questo vuol dire una stagione effettiva di sei mesi, perciò quando diciamo che in Italia ci sono 3600 schermi, in realtà dovremmo dire 1800. I film si addossano tutti in quel periodo e ognuno mangia la coda all’altro, anche quando potrebbero essere delle belle code. Spesso vediamo smontare film che stanno andando bene.

Un commento su Cannes?

È una buona presenza, come sempre negli ultimi anni, in cui abbiamo spesso portato a casa un premio. La Francia è un Paese in cui il nostro cinema si è riaffermato ed è molto stimato. Penso che la nostra cinematografia potrebbe avere ancora più spazio di quello che ha trovato quest’anno, ma è comunque un’ottima presenza.

Una domanda al produttore: quanto è difficile oggi in Italia puntare su film impegnati, che non siano commedie?

Si è ristretto il pubblico per quel tipo di cinema. Una parte comincia a chiedere prodotti, sempre di qualità, ma un po’ più leggeri. È una tendenza che si vede anche in Francia, che noi prendiamo sempre ad esempio.

Con la differenza che però il cinema francese vende anche all’estero.

Ma quanto ci hanno messo per arrivare a questo risultato? Hanno insistito a lungo convinti che fosse necessario continuare a investire. Per tanti anni sono uscite decine di film francesi che non vedeva nessuno, e ora producono blockbuster europei. Chapeau.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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