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Stop Online Piracy Act: la rivolta del web (e non solo) al disegno di legge antipirateria USA

Dal leader dei Democratici Nancy Pelosi al Parlamento Europeo, aumentano i “no” opposti al disegno di legge antipirateria in discussione al Congresso USA, ritenuto eccessivamente evasivo riguardo alla definizione delle fattispecie perseguibili di violazione del copyright, nonché lesivo dei diritti degli utenti del web.

La settimana scorsa alla Camera del Congresso degli Stati Uniti si sono aperte ufficialmente le audizioni riguardo al controverso Stop Online Piracy Act (SOPA), un disegno di legge volto a coinvolgere i provider nel contrasto alla violazione del copyright in Rete e ad aumentare lo spazio di manovra delle aziende e dello stesse autorità federali nell’oscuramento delle pagine web in cui vengono sfruttati illegalmente contenuti coperti da diritto d’autore. Ma nonostante l’appoggio bipartisan alla lotta alla pirateria e la forte attività di lobbying delle major dell’entertainment, cresce il fronte dell’opposizione che osteggia una normativa considerata di natura eccessivamente censoria.   I primi ad esprimere il proprio dissenso sono stati naturalmente Google, i social network come Twitter e Facebook e altri grandi player del web come eBay, che hanno inviato una lettera congiunta al Congresso in cui chiedevano in modo esplicito di non essere trasformati nella “guardia costiera di Internet contro i pirati” (The Wrap). Mentre le compagnie appoggiano l’ampliamento dei poteri del Dipartimento di Giustizia nei confronti dei siti esteri che non rispettano la proprietà intellettuale, più preoccupante appare loro la parte del progetto di legge che gli attribuirebbe “nuove e imprecisate responsabilità” che richiederebbero un monitoraggio costante della Rete, con “effetti reali imprevedibili” sulla libertà di espressione del pensiero dei tanti utenti web che agiscono nell’arco della legalità, finendo perfino per giustificare “sottili forme di censura” simili a quelle vigenti nei regimi autoritari.

La visione ovviamente non è condivisa dall’industria dell’intrattenimento, secondo cui (dati dell’organizzazione antipirateria Creative America) la priorità assoluta rimane bloccare i siti malevoli da cui, ad esempio, ogni giorno vengono scaricati o visti illegalmente in streaming ben 500 mila film. I grandi media cominciano tuttavia a trovarsi più isolati: alla fine della scorsa settimana Nancy Pelosi, ex-speaker e capogruppo dei Democratici alla Camera, ha espresso su Twitter il proprio dissenso verso il SOPA e l’esigenza di “trovare una soluzione migliore” rispetto a un quadro legislativo che rischia di “spezzare la rete” (The Wrap). In seguito al tweet, il suo team ha inoltre rilasciato una nota in cui vengono chiarite le ragioni del dissenso:

“Pelosi è a favore della protezione della proprietà intellettuale. Il problema dei siti che attirano in maniera fraudolenta i consumatori è molto serio e merita l’attenzione del legislatore”, eppure dalla stessa Rete e dai gruppi a difesi dei diritti umani e della sicurezza sul web si sollevano proteste contro il SOPA poiché “non assicura il giusto bilanciamento dei diritti di chi detiene il copyright e degli utenti di Internet”.

Ma anche un rappresentante repubblicano dello Stato della California, Darrell Issa, ha dichiarato il proprio scetticismo rispetto a una legge che avrebbe innumerevoli effetti collaterali: “Il Congresso si sta accorgendo che non può semplicemente bastonare Google come una piñata. Critiche a cui si sono aggiunte addirittura quelle del Parlamento Europeo, che venerdì ha emanato a larga maggioranza una risoluzione per sottolineare “la necessità di tutelare l’integrità di Internet a livello globale e la libertà di comunicazione, impedendo la possibilità di azioni unilaterali in grado di bloccare gli i domini o gli indirizzi IP” (Pc World). Ancora una volta a venire in rilievo è la controversa norma che attribuirebbe al Governo americano la facoltà di intervenire su Internet a livello internazionale, oscurando non solo i domini .com, ma anche .org e .net, spesso utilizzati da milioni di soggetti non rientranti sotto la giurisdizione statunitense, oltre che la definizione “a maglie larghe” di contenuto illecito, che fa intravedere a molti i tratti della censura.

Wired ha definito retorica, ma non ingiustificata, l’affermazione della rappresentante democratica dello Stato della California, Zoe Lofgren, secondo cui questa legge “significherebbe la fine della Rete come la conosciamo oggi”, per il potere concesso ai privati, detentori di copyright, di ottenere il blocco dei siti, delle loro entrate pubblicitarie e dei loro flussi finanziari, senza nemmeno il bisogno di rivolgersi a un giudice, nonché per la vaghezza nel descrivere i siti colpevoli, secondo il testo in discussione alla Camera tutti quelli che “permettono o facilitano lo sfruttamento illecito della proprietà intellettuale”. E la lista di questi siti, secondo Wired, è in realtà “una legione”, che va “dall’hub di contenuti gratuiti Pirate Bay ai sistemi di archiviazione online come DropBox o Box.net, passando inoltre per tutti i portali di user-generated-content come YouTube. Il rischio, secondo il magazine specializzato nel settore hi-tech, è che le major si attivino presso le società finanziarie per tagliare i fondi ai siti presi di mira, senza neppure preoccuparsi di accertare che i contenuti siano effettivamente lesivi del diritto d’autore: “E se non credete possibile che le banche obbediscano volontariamente e senza battere ciglio a un ordine proveniente da un privato, prendete il caso WikiLeaks, che è quasi defunto perché istituti come Bank of America, PayPal, MasterCard, Visa e altri hanno interretto le donazioni indirizzate al sito [..] Nessun giudice ha ordinato alle banche di prendere tale provvedimento, e WikiLeaks non è mai stata incriminata per alcun reato negli Stati Uniti”.

E anche la popolarissima rivista Time si è espressa contro i potenziali effetti del SOPA, che “non fermerà la pirateria ma in compenso censurerà tutti gli altri”, come titolava giovedì un commento di Matt Peckham:

“Se approvata, la legge permetterà al Governo di mettere in lista nera qualsiasi sito web contenete materiale che viola il copyright, inibendone l’accesso tramite un sistema di filtri DNS simile a quello utilizzato dalla Cina e dall’Iran. Ma cos’è il ‘materiale che viola il copyright’? Tutto, da brevi post su un web forum o sul social network fino ai link spediti via email. Inoltre, il sito web può essere ritenuto responsabile di qualsiasi contenuto illecito, e il Governo avrebbe la facoltà di bloccare i pagamenti al proprietario di quel sito e di imporre ai motori di ricerca di rimuoverlo dai risultati”.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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