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MEDIA Salles: la digitalizzazione rallenta in Italia, mentre in Europa si avvicina il “tipping point”

L’esercizio cinematografico ancora nell’occhio del cicolone alla Tavola Rotonda “D-Cinema: viaggio nel digitale”, organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo al VI Festival Internazionale del Film di Roma.

Si è tornato a parlare di esercizio ieri all’incontro organizzato dalla Fondazione Ente dello Spettacolo nell’ambito del VI Festival Internazionale del Film di Roma e intitolato D-Cinema: viaggio nel digitale.  Come ha spiegato il presidente della FEdS, Dario Edoardo Viganò, la nuova tecnologia rinnova infatti “le modalità, i luoghi e i tempi” della fruizione del prodotto cinema, con conseguenze che investono in primo luogo le sale, per poi influenzare, a cascata, l’intera filiera della settima arte.

Lo conferma Nicola Maccanico, direttore generale di Warner Bros, la cui impressione è che l’industria “sia troppo concentrata sul prossimo film piuttosto che sul sistema”, ora incentrato sulla rincorsa di un certo cinema commerciale e giovanile che però non soddisfa tutta la domanda, specie quella “degli adulti che vanno a cercare una sala e, al suo posto, ci trovano un negozio di vestiti”. Ben venga quindi il sostegno alla produzione, “ma solo se si inserisce in un contesto più ampio”, dove l’esercizio assume la parte del leone.  Secondo Maccanico, ci vuole “un approccio più laico”, la consapevolezza “che non tutti i film devono uscire per forza in sala, che l’affollamento di troppi film va a beneficio solo dei grandi titoli, e che bisogna aumentare l’offerta legale su internet”. Senza tuttavia dimenticare la lotta alla pirateria e la necessità di aumentare la banda.

Il digitale rientra in questo processo in primo luogo per la riconversione imposta a tutte le strutture operanti nell’esercizio. Secondo i dati del programma MEDIA Salles, su 34 Paesi europei e 36mila schermi monitorati, 10.341 (cioè circa il 30%) sono ormai passati al digitale, per un totale di 4 mila cinema. Solo nel 2011, la digitalizzazione ha raggiunto quota +121%. Nei 6 mercati trainanti a dominare è la Francia, che ha già riconvertito 1/5 dei suoi schermi nonostante non sia stata tra i pionieri della trasformazione; seguono Germania, Regno Unito, Russia, Italia e Spagna. Il nostro Paese, in particolare, solo nel 2011 ha superato la soglia delle mille sale digitali, facendo registrare un incremento di circa il 18% che appare nettamente inferiore rispetto alle percentuali dei suoi 5 competitor europei, tutte comprese in una fascia tra il 20 e il 40%.

Il dato era stato già oggetto di discussione nei giorni scorsi al Festival: il presidente dell’Anec, Paolo Protti, aveva puntato il dito contro la mancanza di uno standard condiviso per il digitale,  tecnologia in continua evoluzione e quindi ad alto rischio obsolescenza, con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di investimenti. In secondo luogo aveva citato il calo di appeal del 3D (finora così determinante che nei Paesi di più recente digitalizzazione, come la Russia, è arrivato a coincidere con il 100% degli schermi attrezzati) e il mancato accordo con i distributori su quella flessibilità della programmazione che potrebbe costituire il vero motore del cambiamento per le piccole sale. A latere,  i ritardi del Mibac nell’adeguare il tax credit, che per ora crea in capo agli esercenti un credito non esigibile a causa della bassa pressione fiscale sugli introiti, altrettanto bassi se non proprio inesistenti. Per fare in modo che lo sgravio fiscale abbia effetto, lo Stato deve quindi modificare la normativa esistente, che non prevede la cedibilità di questo credito a terzi e in particolare le banche.  In merito agli stessi dati, tanto Luigi Grispello, vice presidente MEDIA Salles e vice presidente vicario Anec, quanto Carlo Bernaschi, presidente Anem, avevano invece concentrato la loro attenzione sul virtual print fee e la necessità di rivedere questo modello poco praticabile dalle piccole strutture, in quanto richiede investimenti iniziali non sostenibili da parte di molte sale.

Oggi, secondo MEDIA Salles, il tipping point, cioè il momento in cui più del 50% delle sale europee saranno digitalizzate, si avvicina velocemente e potrebbe essere raggiunto già nel 2012. Nel vecchio continente però,  esistono moltissimi piccoli esercizi che rischieranno di rimanere esclusi nel momento in cui la massa critica di schermi attrezzati convincerà le distribuzioni ad abbandonare in via definitiva la pellicola. Basti pensare alle circa 7mila monosale, che rappresentano il 20% degli schermi totali ma solo il 7% di quelli già digitalizzati. Questo perché la conversione aiuta le economie di scala e abbatte i costi del personale, ma entrambi i vantaggi appaiono molto ridimensionati per le piccole strutture. E a farne le spese, secondo MEDIA Salles, è già il prodotto europeo, la cui quota di mercato risulta in flessione rispetto a quella statunitense.

Secondo Valter Casini, AD di Circuito Cinema, è però inutile ricordare agli esercenti l’urgenza di passare al nuovo sistema: “La digitalizzazione è ineluttabile, le tecnologie sono l’unico driver di mercato. L’unica vera variabile in questo processo è il tempo, e quello dipende dalle capacità di investimento degli esercenti e dal sostengo da parte della filiera. Ma ad oggi le banche non finanziano, lo Stato non eroga contributi, i distributori hanno previsto il VPF, che però per sua natura è contributo ex post e non ex ante. Allora, se si vuole agire in fretta sul fattore tempo, c’è bisogno di usare la leva finanziaria”. Oltre che di dialogare con i Comuni su balzelli come TARSU (uguale a quella di supermercati e ristoranti) e Ici, mentre con le Regioni delle norme sul sostegno alla modernizzazione delle sale, non sempre previsto e spesso non cumulabile con gli aiuti provenienti dallo Stato centrale.

L’AD di Cinecittà Luce, Luciano Sovena, dal canto suo vorrebbe che il digitale diventasse un modo per evitare il passaggio in sala di molte opere autoreferenziali, autofinanziate e destinate al tracollo al box office.  I 100 Autori, invece, per bocca di Maurizio Sciarra, sono tornati a protestare per la strozzatura presente sul mercato della distruzione, individuata come principale colpevole del rallentamento del digitale.  Riccardo Tozzi, presidente Anica  e produttore Cattleya,  è tornato infine a ribadire quanto sia importante per chi sta a monte della  filiera, preoccuparsi di dove saranno fruiti i suoi film, altrimenti: “Finiremo ancora nel guazzabuglio distributivo in cui siamo adesso, un momento in cui i film si divorano l’un l’altro perché non sappiamo più dove metterli. E non è che non sappiamo dove far uscire l’opera prima o il film difficile, ma la commedia da 6 milioni di euro”. Secondo Tozzi, la cura sarebbe riproporre il multiplex ma in città, come già successo nelle grandi metropoli come Londra, visto che le tante strutture nate ai margini dei centri urbani rispetto agli anni ’90 hanno raddoppiato il numero degli schermi ma non dei biglietti, rimasti sempre intorno ai soliti 100 milioni. Il che fa ritenere al presidente dell’Anica che il pubblico si sia semplicemente “spostato”, sia di luogo che di fascia d’età, escludendo i prodotti meno commerciali e di solito più appetibili per adulti e anziani. Il discorso è sempre lo stesso:  aumentata la quota del cinema italiano (che Tozzi dà per scontato supererà il 40% a fine 2011), l’unico modo per crescere ancora è far ingrandire la torta degli incassi agendo sull’esercizio. E oltre alla creazione di “multiplex di città”, suggerisce la costituzione di un circuito di sale comunali su modello francese, che consta di 1500 schermi e secondo il presidente Anica fa gran parte della differenza tra il Paese d’Oltralpe e l’Italia.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it
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