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Il quinto senso e mezzo della critica

Sul Ciak da pochi giorni in edicola col numero di marzo Andrea Morandi (e Alessandra De Luca) firmano un’indagine sul rapporto tra critica cinematografica e blog dal titolo: Cari critici, siete morti. Lo spunto è la notizia che negli USA i principali giornali hanno “rimosso” negli ultimi 12 mesi oltre 30 critici cinematografici, questo perché…

Sul Ciak da pochi giorni in edicola col numero di marzo Andrea Morandi (e Alessandra De Luca) firmano un’indagine sul rapporto tra critica cinematografica e blog dal titolo: Cari critici, siete morti. Lo spunto è la notizia che negli USA i principali giornali hanno “rimosso” negli ultimi 12 mesi oltre 30 critici cinematografici, questo perché “il 90% dei giovani non legge più le recensioni dei giornali e preferisce i blog”.

L’articolo è interessante, anche se contrapporre critica cinematografica a blogger è strumentale visto che tra i blogger si aggirano molti più critici cinematografici di quanti ormai ne siano rimasti sui giornali (e in parte sono gli stessi o ex), ma credo porti a far confusione tra due diversi fenomeni altrettanto importanti.


Il primo riguarda l’informazione cinematografica tout-court, che è costituita da molto più che le sole recensioni: notizie, gossip, schede tecniche, materiali audio video, programmazione e via dicendo. E su questo punto è ormai innegabile che internet ha assunto una preponderanza schiacciante sui vecchi media.

L’informazione cinematografica su carta ha ovviamente ancora senso in quanto ha ancora senso l’informazione su carta in assoluto, ma probabilmente si ritroverà limitata ad una, massimo due testate nazionali, che sappiano convincere per l’assoluta qualità e differenziazione (valgono anche le testate molto focalizzate sui generi e trasversali quindi) dei propri contenuti di approfondimento (ad oggi mi viene in mente solo Empire nel panorama internazionale) e alle free-press che sapranno farsi trovare al momento giusto nel posto giusto, offrendo così infotainment cinematografico nel momento/luogo in cui hai voglia di leggerlo.

Il secondo fenomeno riguarda il ruolo della critica in generale, non importa se veicolata attraverso la carta stampata, il blog o qualsiasi altro canale (non è forse critica questa?) radicalmente mutato proprio grazie all’avvento, con internet, dell’interazione con il lettore/spettatore.

Se tutti, anche i critici della carta stampata e gli uffici stampa, sembrano concordi nel dire che quello che importa veramente è l’autorevolezza del critico, mi sfugge infatti quale sia il criterio in base al quale viene attribuita questa autorevolezza. Ha le idee chiare Paolo Mereghetti che dichiara: “il problema è l’autorevolezza di chi scrive, che nasce solo dalla credibilità, non si tratta di misurare il peso di una critica dalla popolarità e il punto non è se la critica scritta ha qualcosa in più o in meno dei blog, ma se il tal critico ha qualcosa di più dell’altro”.

A parte il fatto che a me risulta che pure sui blog si possano mettere delle cose “scritte” potrei anche essere d’accordo con lui, ma non mi è chiaro chi è che decide “se il tal critico ha qualcosa di più dell’altro”. Nel caso della vecchia critica, orale o scritta che sia, sono editori e testate giornalistiche a decidere chi ha questo “qualcosa in più”, questo shining e poi, sia che questo qualcosa esista sia che sia il frutto di altri fattori che non dovrebbero entrare in gioco, il critico ha a disposizione il suo pulpito in bella vista e con grande risonanza da cui cassare o glorificare, senza possibilità di replica (perché le lettere al giornale mica sono come i commenti sul blog).

Sappiamo bene, invece, che su internet il ruolo del critico, del blogger che recensisce un film (perché secondo alcuni, per fare il critico, ci vorrebbe la patente) è più quello ci un contrappunto, di una figura con cui confrontarsi, discutere, incazzarsi. Insomma è uno che magari vede il film prima di me e ne scrive, però poi il film lo vedo pure io e 1) gli rispondo, 2) la prossima volta so cosa aspettarmi da lui. Il “cosa aspettarmi da lui”, ovvero il processo di conoscenza che ti porta a “fidarti di un critico”, è un elemento essenziale del rapporto tra critica e spettatore che è valido anche per i media non interattivi, ma che lì è castrato dall’impossibilità di un confronto che permetta di andare a fondo, con un dialogo che può comunque far si che il non essere d’accordo diventi una forma di rispetto.

Su ScreenWEEK.it giusto in questi giorni è scoppiato un’accesa discussione tra un nostro recensore, che è anche collaboratore di questo blog, e alcuni commentatori del suo post su Giulia non esce la sera. Ad un certo punto Gabriele risponde con una frase che ho raccolto tra le mie citazioni dal web perché ritengo che sia un buon punto di partenza per chi fa il critico online:

“Io non scrivo per il regista. Lui ha (o dovrebbe avere) altri metri di paragone e spinte per il suo cinema che non la critica, io scrivo per discutere di qualcosa e per metterlo in discussione, perchè se non si professa il proprio credo cinematografico è inutile fare questo lavoro. E il mio credo cinematografico è contro questo tipo di cinema.

Potrò essere d’accordo con Gabriele o meno sul film in questione (io ad esempio condivido le sue opinioni il 33% delle volte), ma il suo è un atteggiamento che rispetto, così come rispetto chiunque, sia da un blog di cinema con velleità critiche sia dal suo blog personale, esprima un opinione argomentata su un film (o qualsiasi altra cosa) e sia disposto a discuterne sul suo blog o, se se ne accorge, in uno degli infiniti posti presenti in rete in cui la sua recensione può andare a finire senza che lui se ne accorga e dove altri potranno discuterne.

E qui arriviamo, infatti, ad uno dei punti più interessanti che mi sembrano essere stati tralasciati dall’articolo e, soprattutto, dalla visione che gli addetti ai lavori hanno di internet. Perché pur essendo vero quanto detto prima sul rapporto tra blogger e spettatore che si frequentano assiduamente, le opinioni dei blogger di cinema viaggiano ben oltre i confini di una “testata” e vengono prese, estrapolate, citate, rilanciate a volte così tanto da perdere quasi ogni collegamento con il luogo in cui sono state originate.

Se la credibilità e l’autorevolezza di un critico dei media tradizionali vengono da una investitura (che a sua volta può comunque essere il punto d’arrivo di un processo di selezione anche duro e che certo non esclude la presenza dello shining del critico), quella del blogger viene da un continuo processo di scelta da parte degli spettatori che lo leggono (e leggono proprio lui, non è che se lo ritrovano nel giornale che magari hanno comprato per altri motivi) e da un altrettanto continuo, ma più moderno e Web 2.0 se mi perdonate il termine, processo di rilancio dell’opinione di quel blogger che porta le sue recensioni ad essere considerate sui social network, gli aggregatori di notizie e i siti che, nello specifico, raccolgono le recensioni.

Se c’è ancora chi è convinto che “la recensione sulla carta rimane la più importante”, come sostiene Annalisa Paolicchi di 01 Distribution è perché la carta è più immediatamente misurabile rispetto ad un blog e, peggio ancora, alla singola recensione di un blogger che magari può anche essere letto solo da amici e parenti, ma la volta che scrive qualcosa di convincente e condiviso che entra nel circolo virtuoso del passaparola online può di gran lunga superare in rilevanza quanto pubblicato su un giornale. Perché non è vero che su internet non c’è un filtro, solo che si tratta di un filtro propositivo/elettivo piuttosto che di un filtro preventivo alla pubblicazione. Sui giornali si filtra prima, su internet il filtro è posteriore e distribuito quindi più difficilmente misurabile.

Queste considerazioni, sul ruolo di contrappunto dialettico del critico online e sulla distribuzione oltre i confini del suo blog della sua opinione, dovrebbero anche far cambiare agli addetti ai lavori il punto di vista sul ruolo e l’effetto che le recensioni hanno sugli spettatori.

Al di là di quei rari casi in cui un film è capace di tirarsi dietro un 80%/90% di recensioni negative, cioè quei casi di film estremamente “popolari e basta” o probabilmente davvero venuti fuori male, l’importante su internet è che di un film se ne parli, cioè che ci sia qualcuno che scrive per “discutere di qualcosa e per metterlo in discussione”, le recensioni negative (a patto, appunto che non ci siano SOLO recensioni negative) fanno tanto bene quanto quelle positive, perché non bisogna mai dimenticare che il lettore/spettatore che abbiamo davanti non è più un succube dei media con cui non può interagire in alcun modo e di cui subisce passivamente il giudizio, ma una persona che ha imparato a contestare, argomentare e reagire e che per farlo ha ovviamente una sua opinione, va o meno a vedere il film.

Le critiche negative immotivate e non argomentate (così come quelle positive) vengono contestate, discusse, mettono curiosità, perché ricordiamoci che in questo caso stiamo parlando di un lettore che è già uno spettatore cinematografico (la recensione la è andata a cercare, non se l’è trovata davanti), al massimo possono contribuire a definire l’ordine di priorità con cui lo spettatore andrà al cinema (oppure opterà per l’acquisto in homevideo), ma non sono la stroncatura che piove dalle colonne di un quotidiano che pesa quanto un messaggio pubblicitario in negativo.

Se la critica ha un ruolo diverso deve quindi essere anche diverso l’atteggiamento con cui viene letta e recepita anche da tutti gli interessati, perché l’opinione negativa di Gabriele su un film non smette di esistere nel momento in cui viene pubblicata, ma entra a far parte di un percorso in cui si confronta prima con i suoi colleghi, poi con chi deciderà o meno di rilanciarla e infine con il pubblico che tornerà a parlarne o con tutti blogger che vedranno il film come persone comuni e lo inseriranno, ad esempio, nella Cinebloggers Connection.

Se è vero, per completare la citazione di Annalisa Paolicchi, che la “troppa democrazia della rete può determinare una mancanza di filtro, un’aggressività tale da compromettere l’analisi”, che l’assenza di filtro all’origine della pubblicazione fa arrivare su internet opinioni spesso discutibili, è all’altro filtro, quello a posteriori che fa emergere le cose migliori, che bisogna far riferimento nel prendere in considerazione la critica nata su web.

ps: dell’articolo e della classifica dei blog di cinema che contiene, non certo esente da critiche visto che per dirne una a noi ci citano per dei “file audio” ed è assente Badtaste.it, ne hanno parlato anche: Cineblog, The Director’s Cup, MyMovies e se ne discute pure, ovviamente, sul blog di Piera De Tassis.

Davide Dellacasa
Publisher di ScreenWeek.it, Episode39 e Managing Director del network di Blog della Brad&k Productions ama internet e il cinema e ne ha fatto il suo mestiere fin dal 1994.
http://dd.screenweek.it

One thought on “Il quinto senso e mezzo della critica

  1. Personalmente penso che ci sia un grande scollamento tra i critici di professione della carta stampata e il pubblico. Con tutta la buona volontà del mondo ho sempre apprezzato una riflessione più profonda sul cinema, ma gradualmente mi ha nauseato l’incuranza di buona parte della categoria per l’industria e per i film commerciali. Ricordo ancora con immenso dispiacere la stroncatura di Irene Bignardi ad Eyes Wide Shut, perchè in quelle due pagine della sezione spettacoli c’ho visto la spettacolarizzazione della stroncatura, per altro ad un maestro assoluto del cinema.

    Mi sembra che ci sia astio verso un tipo di cinema, quasi un complesso d’inferiorità di quella categoria verso il blockbuster. Il risultato di questo processo è che ormai vengono recensiti con giudizi positivi quei film che discutibilmente rappresentano il cinema nella sua arte, ma certamente non rappresentano e talvolta anzi negano tutto quello che gira intorno al cinema, che lo anima e dà al film una visibilità sconosciuta a ogni altra forma d’arte: il business.

    Perchè alla fine se il film lo si mette in sala senza desiderio di metterlo in relazione col suo pubblico potenziale, affidandosi solamente al consiglio del giornalista di professione, si finisce che forse lo vedono in 4 a roma e milano. E alla fine si rischia di incartarsi, nel senso più rispettoso del termine, su film come Giulia Non Esce La Sera che lasciano il tempo che trovano sugli schermi, cioè poco o nulla.

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